Accadde oggi: 11 novembre 1997, Silvia Melis torna libera

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Dopo 265 giorni di prigionia nelle mani dell’anonima sarda, l’11 novemnre 1997 la ventisettenne Silvia Melis fu ritrovata da due agenti in borghese sul ciglio di una strada vicino a Nuoro.

La Melis, figlia di un facoltoso ingegnere, fu rapita il 17 febbraio dello stesso anno mentre era in auto col figlio Luca, di quattro anni, che però fu abbandonato in auto dai sequestratori. Sin dall’inizio fu evidente che il rapimento avesse scopo estorsivo. La Melis raccontò di essersi liberata da sola durante un momento di distrazione di uno dei suoi carcerieri, un uomo mai arrestato e deceduto pochi anni dopo, che in quel momento era ubriaco, come spesso accadeva, e che si era allontanato per recuperare del cibo, lasciando così allentata la catena della tenda in cui aveva trascorso gli ultimi 75 giorni, dopo aver cambiato già altri tre luoghi di prigionia. Una volta fuggita, fu soccorsa da un’auto di passaggio.

Proprio perché in quei giorni era stata aggirata la legge sul blocco dei beni, il sospetto è che Silvia sarebbe stata tenuta nascosta per alcuni giorni in casa di amici e fosse stat organizzata una liberazione credibile per l’11 novembre, giorno in cui la Melis si sarebbe fatta trovare sul ciglio della strada dove l’avrebbero riconosciuta alcuni automobilisti che avrebbero voluto aiutarla ma lei avrebbe rifiutato ogni soccorso dicendo che stesse aspettando la polizia .

Già prima della liberazione, infatti, ci fu un tentativo di trattativa con i rapitori sfumato nella notte tra il 12 e il 13 luglio. Furono tante le polemiche che riguardarono la sua scarcerazione perché la Melis e la sua famiglia hanno sempre negato che che fosse stato pagato un riscatto e sono stati sempre ritenuti sinceri dalla magistratura.

Il processo ai rapitori fu condotto in primo grado e in appello dai giudici Mauro Mura e Gilberto Ganassi, e terminò con la condanna in Cassazione a 30 anni per il carceriere orgolese Antonio Maria Marini, a 25 per sua madre Grazia Marine e a 26 anni per Pasqualino Rubanu.









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