
65 morti dirette e circa un milione di decessi derivati
Sono passati esattamente trentanove anni dal più grande disastro nucleare della storia.
La notte del 26 aprile 1986 esplose il reattore 4 della centrale di Chernobyl, in Ucraina, nelle cui zone limitrofe oggi si assiste allo spettrale spettacolo di città fantasma. Quello di Chernobyl fu il primo incidente a essere classificato di livello 7, il massimo della scala INES.
Inizialmente, si disse che l’esplosione fosse stata causata dagli errori del personale nell’eseguire un test definito di sicurezza sul reattore RBMK 1000. Un secondo studio sull’incidente evidenziò anche gravi debolezze di progettazione del reattore RBMK. Le sostanze fuoriuscite dalla rottura delle tubature a contatto con l’aria, innescarono una violentissima esplosione che causò lo scoperchiamento del reattore e un incendio che colpì l’intero sito. Le onde radioattive imposero l’immediata evacuazione di più di 330mila persone.
Le morti dirette accertate, fra soccorritori e personale presente al momento dell’esplosione nucleare, ammontano a 65 persone, ma nei primi anni 2000 il Center for Russian Environmental Policy dichiarò che la mortalità dovuta a malattie derivate dall’incidente si aggiri intorno a un milione di persone.
Dopo l’incidente fra la popolazione locale è aumentata l’incidenza del tumore alla tiroide; fra i soccorritori è anche aumentata l’incidenza di cancri solidi. I tumori tiroidei infantili che sono stati diagnosticati sono per lo più carcinomi papillari di un tipo più aggressivo di quello classico.