
A bordo c’erano ottantuno persone, tra cui undici bambini e due neonati. Furono recuperate solo trentotto salme
Un volo DC-9 dell’Itavia decollato da Bologna alle 20:02 del 27 giugno 1980, diretto a Palermo, si inabissò nelle acque del Mar Tirreno durante il viaggio. L’ultimo contatto radio avvenne con la torre di controllo dell’aeroporto di Ciampino trentacinque minuti dopo la partenza. A bordo c’erano ottantuno persone, tra cui undici bambini e due neonati. Furono recuperate solo trentotto salme.
Una scomparsa avvolta nel mistero che portò con sé un drammatico bilancio: i primi cadaveri e i relitti affiorarono dalle acque a poca distanza dall’isola di Ustica. L’aereo precipitò in una zona in cui la profondità dell’acqua supera i 3.000 metri, ma le cause sono ancora del tutto ignote. Numerosi furono gli elicotteri, aerei e navi che parteciparono alle ricerche nella zona.
Sulle sette salme di cui fu disposta l’autopsia furono riscontrati sia grandi traumi da caduta, sia a livello scheletrico che viscerale, sia lesioni polmonari.
La scatola nera dell’aereo aveva registrato dati di volo assolutamente regolari: prima della sciagura la velocità era normale e c’era stato un tranquillo dialogo tra il comandante Domenico Gatti e il copilota Enzo Fontana, che addirittura si raccontavano barzellette. All’improvviso la registrazione si interruppe, senza alcun segnale allarmante.
Le principali ipotesi sulle quali gli inquirenti hanno indagato sono state l’abbattimento da parte di un missile o una collisione con un aereo militare, o addirittura l’esplosione di una bomba a bordo. Riguardo alla prima ipotesi, negli anni si è affermata la tesi che in zona vi fosse un’intensa attività aerea internazionale, nonostante sul relitto non sia mai stato trovato alcun frammento di missile, ma soltanto tracce di esplosivo trovate dai periti.