
Ancora oggi nel mondo occidentale la protesta viene considerata un evento fondamentale e importantissimo del XX secolo, ma in Cina il solo parlarne è considerato un tabù
Trentasei anni fa, nella notte fra il 3 e il 4 giugno 1989, vi fu una violenta repressione che fece culminare nel sangue le proteste di studenti e lavoratori cinesi in piazza Tiananmen, a Pechino. Cominciò in quel momento la tragedia che avrebbe sconvolto il mondo. Fu una notte che riuscì a segnare la storia, in cui l’Esercito di Liberazione Popolare uccise centinaia di persone scese in piazza per chiedere più libertà e più democrazia. Amnesty International denuncia che almeno 66 persone sarebbero state arrestate o allontanate dalla capitale proprio in vista del 4 giugno.
Molto resta da chiarire su cosa sia esattamente successo quella notte, infatti esistono versioni dei fatti molto diverse. Il numero dei morti, ad esempio, varia da centinaia a migliaia di persone e molte famiglie delle vittime stanno ancora aspettando una spiegazione su ciò che è accaduto ai loro cari. Il governo cinese parlò inizialmente di 200 civili e 100 soldati morti, ma poi abbassò il numero di militari uccisi ad “alcune dozzine”. La CIA fece stima, invece, di 400–800 vittime. La Croce Rossa riferì 2.600 morti e 30 mila feriti. Le testimonianze di stranieri affermarono invece che furono uccise 3.000 persone.
La rivolta vide la partecipazione di studenti, intellettuali e operai. Il simbolo forse più noto della rivolta è il Rivoltoso Sconosciuto, uno studente che solo e disarmato si parò davanti a una colonna di carri armati per fermarli: le fotografie che lo ritraggono sono diventate celebri in tutto il mondo.
Ancora oggi nel mondo occidentale la protesta viene considerata un evento fondamentale e importantissimo del XX secolo, ma in Cina il solo parlarne è considerato un tabù.