
La leggenda racconta che dopo l’incontro con il pontefice Leone I, Attila si ritirò con il suo esercito, rinunciando di fatto a conquistare Roma
Attila, il cui nome gotico che vuol dire piccolo padre, fu l’ultimo e più potente sovrano degli Unni, quel popolo guerriero e nomade di origine siberiana che probabilmente discendeva da uno stesso ceppo dei Turchi, proveniente dall’Asia, e che giunse in Europa nel IV secolo, percorrendo il corso del Volga. Dopo la celebre e sanguinosissima battaglia dei Campi Catalaunici, dove Visigoti, Franchi, Burgundi e Gallo-Celtici si allearono con i Romani contro Attila, questi, né vincitore né vinto, si ritirò, decidendo di deviare verso l’Italia. E vi arrivò l’8 giugno del 452 d.C., puntando su Trieste e distruggendo, in seguito, Aquilea. Poi puntò su Padova e, per paura, molti romani e barbari del Veneto fuggirono sulla laguna, fondando Venezia. Dopo fu la volta della presa di Milano.
Dopo l’incontro con il pontefice Leone I, Attila si ritirò con il suo esercito, rinunciando di fatto a conquistare Roma. La leggenda, che nacque successivamente, racconta che furono la sacralità e le parole convincenti del pontefice a convincere Attila a rinunciare ai suoi propositi di conquista.
Più probabilmente, però, a farlo recedere fu la minaccia degli eserciti dell’imperatore d’Oriente, Valentiniano III, o addirittura la stanchezza delle truppe, le quali, in breve tempo, consumarono tutte le riserve di cibo e di foraggio che i campi potevano offrire. I soldati erano costretti a mangiare cibo scarso e andato a male e a bere l’acqua del fiume inquinata dalle bestie uccise che ivi galleggiavano, per cui si ammalarono, anche gravemente, di dissenteria. Attila, quindi, ritornò in Romania, ove l’anno seguente fu assassinato da alcuni parenti proprio la notte del matrimonio con una delle sue tante mogli, Ildico.