Olio d’oliva, oro verde del Titerno e del Sannio: breve itinerario nel gusto

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San Lorenzo Maggiore, foto di copertina di Nicola Ferrara

Il territorio del Sannio beneventano, che vanta glorie e ricchezze architettoniche e monumentali e avvenimenti storici di grande rilievo, innanzitutto si erge ad alti livelli per la sua ruralità. L’agricoltura sannita, vari cultivar specializzati, tecniche di allevamento che vantano radici di un passato ormai lontano (non è un caso che spesso tale territorio sia chiazzato da storiche vie d’erba, i tratturi), vigneti rinomati e lunghe, secolari distese di ulivi. Eh già! È proprio ora il periodo in cui vediamo un grande andirivieni di trattori e contadini, famiglie aiutate da quei figli spesso piccini, che vogliono imparare a lavorare a contatto con l’aria aperta, fresca e frizzante, e che desiderano toccare la ruralità dei propri luoghi con mano, frantoi al lavoro per produrre il vero oro del sannio, l’oro verde, la ricchezza e il bene di lusso che la provincia di Benevento può ben dire di possedere: l’olio extravergine d’oliva. Dalla zona fortorina, con i suoi territori freschi e asciutti, alla valle caudina e quella vitulanese, fino all’area titernina: ecco le principali zone che fanno del nostro oro verde un prodotto d’eccellenza del Sannio e, più in generale, della Campania.

E proprio nella regione Campania la pratica della coltivazione dell’olivo risale a epoche molto lontane nel tempo, ricordando i Greci e i Fenici, che diffusero l’uso dell’olio in tutti i territori colonizzati, come alimento e come ingrediente di unguenti e profumi. La cosmesi a base d’olio, infatti, era rinomata e apprezzata da persone di ogni ceto sociale: da agricoltori e contadini, alle persone più umili, che spesso utilizzavano l’olio per curare le callosità e idratare la propria pelle dopo lunghe e intense iornate al lavoro, sotto al sole o al freddo spesso gelido, fino a regine e nobili, dai quali l’olio veniva visto come un vero e proprio prodotto di lusso. I Romani, poi, ne favorirono la coltivazione, soprattutto nella provincia di Benevento. “Iuvat olea magnum vestire Taburnum” cioè “conviene rivestire di oliveti il grande Taburno”, sosteneva Virgilio nelle Georgiche, tanto che l’olivo, già presente nel Sannio dal VI sec a.C., si diffuse rapidamente, come documentano i numerosi reperti conservati nei vari musei provinciali. Ancora oggi l’olio d’oliva è alla base dei migliori prodotti naturali cosmetici, base di saponi artigianali, creme e unguenti. Oggi il territorio delle Colline Beneventane, che comprende 52 comuni ubicati dalle Colline alte del Tammaro e del Fortore, attraverso la Piana del Calore, del Taburno e del Partenio, è zona di produzione di un olio pregiatissimo: l’extravergine di oliva Sannio colline Beneventane e, come già detto, le colline Caudine-Telesine e l’area titernina, ai piedi del torrente Titerno, dove vaste distese di ulivi donano pace armonica all’occhio, al sapore e al palato. È anche la combinazione di un clima mite e temperato, dell’esposizione delle pendici collinari che portano a una qualità dell’olio veramente eccezionale.

METODI DI LAVORAZIONE

L’ortice è un’oliva di colore nero violaceo, con polpa bianco latte, da cui si ricava un olio di colore verde giallo, dolce, con note amare e piccanti e sentori erbacei. L’ortolana viene riconosciuta anche come melella ed è particolarmente diffusa nella zona collinare della Valle Telesina. Si tratta di un frutto grande, di colore violaceo, con polpa bianca che trova molto utilizzo come oliva da tavola, da cui si ricava un olio di colore verde giallo, sentori erbacei e un aroma tipico di mela. La sprina è una varietà di oliva diffusa nella valle Caudina e nella Valle Telesina. Il suo olio si presenta di colore giallo, con sfumature verdi, con note erbacee, sentori di mela matura e di amaro e piccante. Anche la racioppella è particolarmente diffusa nella Valle Telesina. Da essa si ricava un olio di colore giallo verde, dolce con lieve punte di amaro e piccante, e toni di mandorla. Ma quali sono, in sintesi, i passaggi del metodo tradizionali di raccolta ed estrazione in un frantoio? Quando le olive vi arrivano vengono prima di tutto pesate e sottoposte a defogliazione e lavaggio. Rami e foglie eliminati vengono trasformati in concime o in combustibile, mentre residui di terra vengono eliminati tramite acqua. La frangitura è la fase durante la quale le olive vengono frantumate fino a ottenere una pasta grossolana che contiene buccia, polpa e noccioli. I metodi di frangitura più utilizzati attualmente sono quello tradizionale e quello moderno, caratteristico dei frantoi a ciclo continuo. Il metodo tradizionale si basa sull’utilizzo di molazze a macine di granito che schiacciano le olive; il metodo moderno ricorre a frangitori a martelli o a dischi rotanti, che frantumano velocemente una grande quantità di olive, ottenendo una pasta più uniforme e limitando al minimo il dannoso contatto della pasta di olive con l’ossigeno. Un passaggio fondamentale è quello della gramolatura, lento e continuo rimescolamento della pasta di olive all’interno di una macchina detta gramola, passaggio che consente di rompere le emulsioni acqua-olio che si sono formate durante la frangitura. L’estrazione è il cuore del processo di lavorazione: dalla pasta ottenuta dalle precedenti fasi si procede alla separazione delle tre componenti: sansa, acqua di vegetazione e mosto oleoso e può essere discontinua o continua. Al termine di queste operazioni si ottiene un olio perfettamente commestibile ma torbido, in quanto vi sono in sospensione mucillagini, bollicine d’aria, frammenti di polpa e residui d’acqua. Dopo un periodo di decantazione tutte le sostanze estranee si depositano sul fondo oppure si procede alla filtrazione tramite sistemi di filtraggio.

L’estrazione dell’olio d’oliva può essere eseguita attraverso tre tipologie di lavorazione differenti: spremitura a freddoestrazione a caldo ed estrazione con solventi. La prima, senza aggiunta di acqua calda, è senza dubbio la più naturale, che fornisce un prodotto di qualità superiore e che conserva inalterate le caratteristiche del prodotto da cui deriva. In genere, con questo metodo, l’olio non si ossida e ha delle caratteristiche organolettiche ottime. La spremitura a caldo, in cui la temperatura della pasta delle olive arriva fino a 29 – 30°C, comporta l’ossidazione, la perdita di sostanze fondamentali e la distruzione dei cosiddetti grassi insaturi, per cui l’olio che si ottiene non è commestibile e per renderlo tale subisce almeno tre trattamenti: la deacidificazione, la decolorazione, la deodorizzazione. Questo olio necessita, inoltre, di un ulteriore processo di raffinazione. L’estrazione con solventi viene effettuata sui residui dell’estrazione a caldo per recuperare quella parte di olio rimasta intrappolata. I semi vengono frantumati e immersi in un solvente organico e la temperatura viene innalzata a 150°C, finché il solvente viene fatto evaporare. Ovviamente è da preferire il metodo a freddo, il cui olio può davvero dirsi extravergine: il suo costo è più elevato, ma certamente sono soldi ben spesi.

La denominazione Colline Beneventane DOP è riservata all’olio extravergine di oliva che, posto in commercio in bottiglie di vetro, porcellana, terracotta smaltata o recipienti in banda stagnata della capacità massima di 5 litri, presenta colore verde/giallo, odore fruttato di oliva, sapore amaro piccante con sentore di pomodoro, che si ottiene dalle seguenti varietà di olivo: Ortice per non meno del 60%; Frantoio, Leccino, Moraiolo, Ortolana e Racioppella da sole o in combinazione per non più del 30%, con ammessa la presenza di altre varietà nella misura massima del 10%. Dal Fortore alla zona caudina, fino a quella del Taburno, la sua produzione deve avvenire in zone che superino i 650 m.s.l.m.. Da paesi fortorini quali Apice, Circello, San Nicola Manfredi, San Marco dei Cavoti, per scendere nell’area più beneventana, come Pietrelcina, Benevento, Apollosa, San Leucio del Sannio. nella zona caudina come Montesarchio, Pannarano, Tocco Caudio, fino alla Valle Telesina, e in particolare l’area titernina, dove troviamo un altro oro verde, quello rinomato nel suo utilizzo soprattutto in cucina, principalmente nelle varietà extravergine e vergine, per condire insalate, insaporire alimenti, conservare verdure in barattolo e molto adatto per le fritture. Ha delle capacità benefiche a causa della presenza di sostanze antiossidanti in grado di combattere il colesterolo. Ma viene utilizzato anche a livello cosmetico e per la produzione dei saponi. Un tempo si usava anche come farmaco e come combustibile per le lampade a olio. Tutti olii che fanno parte di una tracciabilità di filiera, di Alta Qualità al 100%, a garanzia dell’integrità del prodotto. San Lorenzello, Cerreto Sannita, San Lorenzo Maggiore, San Lupo, Pontelandolfo, Castelvenere, e uscendo dall’area del Titerno Paupisi e Vitulano, tutti borghi collinari ove il particolare microclima e la qualità del terreno favoriscono la coltura dell’olivo da cui si produce un grande olio DOP. Si tratta di un’olivicoltura per gran parte di stampo tradizionale, grazie agli uliveti ultrasecolari, con una notevole presenza di cultivar locali. L’olio del Titerno, in particolare, ha ottenuto molti riconoscimenti nel corso degli anni; particolarmente va ricordato che quello cerretese ha vinto il premio nazionale Ercole Olivario di Spoleto per ben quattro volte. Tale riconoscimento risulta essere il più importante, dal 1993, nel campo dell’olio. Una delle caratteristiche più evidenti dell’olio d’oliva fresco di molitura è la sua piccantezza, quando essa è presente. Infatti, pare che nelle note amare e piccanti dell’olio ci siano presenze di polifenoli, molto salutari per l’uomo. La qualità del suo gusto coincide con le sue proprietà salutistiche. 









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