Immagini dal Sannio: il Carnevale tra Diavoli, Cervi, Mesi e scorpelle

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Il Carnevale è certamente la festa più divertente e trasgressiva dell’anno e, come ben sappiamo, a Carnevale tutto si può. Nei limiti del possibile e della decenza, ovvio. Nel Sannio molisano e beneventano sono tante le iniziative prese ogni anno, tra carri allegorici, a tema di satira politica o fiabesco, maschere, sfilate e giochi per bambini. Vi sono anche tradizioni che si perdono nella notte dei tempi e che coinvolgono il popolo gioioso e in festa.

Tra i caratteristici festeggiamenti vi sono quelli di Tufara, in provincia di Campobasso, il cui Carnevale è stato inserito nella classifica dei dieci Carnevali italiani da scoprire secondo Ansa Viaggi. Lì, l’inizio del carnevale è salutato dall’esibizione di un asino rivestito di stracci, condotto da persone camuffate da pagliacci che, con le loro sapienti battute, divertono il pubblico. Il Martedì Grasso si rinnova la tradizione della Mascherata del diavolo, che rappresenta la passione e la morte di Dioniso, dio della vegetazione. Il Diavolo indossa sette pelli di capra e ha il volto coperto da una maschera nera e a fargli da guardiani ci sono dei Folletti che lo trattengono alla vita con catene e gira per le strade del paese, saltella, cade a terra, si rotola, si rialza, corre, cercando di sedurre chi incontra per iniziarlo ai suoi misteri. Due figure, brandendo una falce, rappresentano la Morte, col volto bianco coperto di farina, rappresentante un ruolo purificatore. La figura del diavolo è caprina, ha il tridente fra le mani, e i suoi movimenti accattivanti incutono timore e superstizione. La maschera del diavolo un tempo rappresentava la passione e la morte di Dioniso, le cui feste venivano celebrate in quasi tutte le realtà agresti. Sempre a Tufara, nel giorno della domenica di carnevale, si celebra la Magia del Carnevale, che ospita le varie, colorate e belle maschere italiane.

Molto simile è la figura del Cervo, Gl’ Cierv, di Castelnuovo al Volturno, frazione di Rocchetta al Volturno. Anche lui è ricoperto di pelli di capra a cui sono legati dei campanacci, con il volto e le mani dipinte di nero e indossa delle grandi corna, proprio come l’animale che rappresenta. Anche in questo caso, il Cervo percorre le strade del paese, suscitando timore tra gli abitanti. Non è possibile stabilire con esattezza l’origine del rituale, ma si presume che sia antichissima: si tratta di una pantomima che descrive aspetti tipici della vita primordiale. Con un tintinnio di più campanacci che proviene dalla montagna, si fanno largo le Janare, streghe dai lunghi capelli, succhiatrici di bambini, le quali annunciano il terribile rito che si sta per rinnovare, assieme al Maone, stregone della tradizione locale. Seguono villane, villani e zampognari che, al suono delle cornamuse molisane, sfilano finché un grido risuona nell’aria: “Gl’ Cierv’! Gl’ Cierv”! Giunge così il Cervo, il protagonista, un attore coperto di pelli e con grandi corna ramificate sul capo, volto e mani dipinti di nero che ostenta forza e cattiveria. Irrompe nella piazza distruggendo tutto ciò che incontra nel suo cammino e aggredisce la gente finché non entra in scena una Cerva con un pellame più chiaro e movenze più aggraziate con cui comincia il corteggiamento. Arriva poi dalla montagna Martino, una sorta di mago dal cappello a punta vestito di bianco, che immobilizza gli animali, che rappresenta il Bene e cerca di arginare la furia delle Bestie legandoli con una corda, nonostante i Cervi riescano a liberarsi delle corde e ricomincino a terrorizzare la gente. Soltanto l’intervento di un Cacciatore, che rappresenta il giustiziere, riesce a fermare le distruzioni violente degli animali, e le Bestie si accasciano in un improvviso silenzio. Il Cacciatore si avvicina ai due corpi, si china e soffia nelle loro orecchie e, come per incanto, le Bestie rivivono liberate dal Male. Viene quindi acceso un grande falò purificatore, il Bene che vince sul Male.

Più improntato al recupero della memoria della tradizione e del folklore popolare è invece il Carnevale Campuasciano che si tiene a Campobasso, capoluogo di regione molisano, un vero e proprio tuffo nel passato. I personaggi tradizionali sono le maschere dei briganti, che rievocano le loro storie e gli anni in cui in Molise si combatteva contro l’unità d’Italia, e la figura di Verde Auliva, antica maschera della tradizione popolare molisana che simboleggia il richimo alla tradizione rurale e contadina. I festeggiamenti sono accompagnati da balli, canti e danze tradizionali del Sannio e del Matese, come la “maitunata”, canto fatto da ritornelli popolari che infonde allegria e che si è tramandato nei secoli grazie ai pastori.

A Cercepiccola, l’ultima domenica di Carnevale, ricorre la Rappresentazione dei Mesi, una sfilata allegorica in cui i vari personaggi, rappresentanti i mesi dell’anno, recitano filastrocche e battute riferite alla vita e alle tradizioni locali. I mesi vengono presentati accompagnati da altri personaggi di sesso maschile: due cencinuari, raccoglitori di stracci, due pulcinella, un presentatore, un direttore d’orchestra con otto orchestranti, il padre dei mesi (l’anno), il nonno dei mesi (il secolo), e le quattro stagioni. In tutto sono trentadue personaggi che sfilano per le strade del paese, su asini e cavalli addobbati con pennacchi di vari colori; la festa comincia la mattina e prosegue per tutto il giorno con canti e balli che si tramandano da anni e anni. A Cercepiccola si svolge anche il caratteristico gioco della pezzotta: due squadre fanno rotolare lungo un percorso stabilito una forma di formaggio pecorino legata da uno spago detto “zagaglia” e vince chi riesce a raggiungere per primo il traguardo, detto “scasso”. Il Carnevale dei Mesi viene festeggiato anche a Cusano Mutri, borgo della provincia di Benevento, identità territoriale che rinnova la tradizione ed evidenzia anche il suo bagaglio culturale. Qui, non solo maschere ma anche rappresentazioni divertenti e molto apprezzate. I dodici mesi vengono rappresentati da dodici persone a cavallo, vestite in modo pittoresco, che sfilano lungo la strada e confluiscono nella piazza principale.

A Castellino sul Biferno, in provincia di Campobasso, il Carnevale richiama le vecchie tradizioni contadine e pastorali locali, con una rievocazione carica di folklore e molto suggestiva, i cui protagonisti sono i personaggi del Carnevale e quello della Quaresima. Il rito sembra risalire agli antichi Saturnali dei Romani. Il giorno di Martedì Grasso arriva Carnevale a cavallo o in groppa a un asino, che giunto nella piazza del paese, dà inizio alla sua caratteristica messa in scena. Questi, infatti, comincia ad accusare forti dolori alla pancia e si affida alle cure del popolo che, però, non sortiscono alcun effetto e i medici di turno decidono di intervenire chirurgicamente con un equipaggiamento molto spartano, procedendo a rompere la grande zucca che simboleggia la pancia del Carnevale. Dalla zucca comincia a fuoriuscire di tutto, dai dolci per i più piccoli alla pelle di capretto, salsicce e cotiche, persino baccalà e fagioli che si scoprirà essere stati la vera causa dei dolori di Carnevale. A questo punto Carnevale può festeggiare la sua guarigione insieme a Quaresima, molto magra e sofferente e tutta vestita di nero. Purtroppo però, nonostante l’intervento chirurgico, Carnevale muore e il Mercoledì delle Ceneri, primo giorno di Quaresima, si assiste al corteo funebre del personaggio, seguito da amici e parenti in lacrime, diavoli con tanto di forche e la croce obliqua stracarica di cipolle, aglio e peperoncino, come segno contro le jettature, oltre a personaggi comuni. Si procede all’impiccagione e al rogo di Carnevale che viene accompagnato da canti e detti del folklore locale.

Sempre in provincia di Campobasso, a Jelsi, durante il carnevale si tiene la tradizionale Ballata dell’Uomo Orso, “U’ Ball dell’Urz”, tipico rito propiziatorio nel passaggio tra due stagioni, a fine inverno. Si esibiscono caratteristiche maschere zoo-antropomorfe, simili alle citate figure di diavolo e cervi. A un orso, tenuto alla catena da un domatore e da un aiutante, viene ordinato di ballare sotto la minaccia di percosse con un bastone. Tra accenni di ribellione e passi di danza si diffondono per tutto il paese le note di improvvisati musicisti. Il gruppo percorre allegramente tutti i vicoli dell’antico borgo, bussa alle porte delle case e le famiglie ospitanti offrono da bere e da mangiare. In particolar modo, il ballo dell’Uomo Orso trova la sua origine in alcune cerimonie invernali di fertilità il cui significato più profondo sta nella visione popolare-contadina della morte della natura, condizione necessaria perché possa rinascere la vita con tutte le promesse di abbondanti raccolti. Per alcuni studiosi, il significato di questo rito lo si riconduce a una trasfigurazione del sacrificio del capro espiatorio, che con la sua morte purga la comunità. La manifestazione fu interrotta con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale ed è stata riproposta solo a Carnevale del 2008 per merito del regista Pierluigi Giorgio il quale già nel 1993 aveva riportato alla vita quella del Cervo a Castelnuovo. Questo lavoro di riscoperta è stato svolto attraverso una raccolta di informazioni ricavate dai ricordi e dalle testimonianze degli anziani del paese.

Nel Sannio beneventano sono molte le città in festa, ma le tradizioni non sono vive e antiche come in Molise, perché la Campania in generale ha le sue maschere, in primis Pulcinella che, con tutto il Carnevale napoletano, in generale schiacciano un po’ gli altri riti e maschere campani. La maggior parte dei borghi sanniti festeggia con feste in maschera, sfilate, cortei e calli allegorici, ma anche rappresentazioni divertenti, che attraggono molti turisti e che sono molto apprezzate.

A Santa Croce del Sannio si mette in scena la manifestazione di stampo medievale La Pace, evento che ricorda il torneo equestre tra Cristiani e Saraceni del 1785, organizzato dal duca di Santa Croce con lo scopo di trovare il futuro sposo per la figlia. Nella manifestazione La Pace, vi sono scene rappresentative degli antichi mestieri, sbandieratori e artisti di strada.

Frasso Telesino, Airola, Cerreto Sannita sono solo alcuni dei paesi che mettono in scena musica e festa. Quest’anno volge alla quarta edizione il Carnevale dell’Amicizia che, nell’edizione 2020 unisce tre paesi in provincia di Benevento, ovvero Paupisi, Torrecuso e Solopaca, per celebrare la festa più divertente, colorata e suggestiva dell’anno con un evento che, nelle passate edizioni, ha riscosso un notevole successo.
Si tratta di una manifestazione che quest’anno sarà organizzata dalla Pro Loco di Paupisi, dal Forum Giovani di Torrecuso e dalla Pro Loco di Solopaca, con il patrocino dei Comuni di Paupisi, Torrecuso e Solopaca e in collaborazione con l’associazione Contadini di Torrecuso, l’associazione commercianti di Solopaca, l’associazione Maestri Carraioli di Solopaca, “I Tampagni” Bottari per passione a cura di Carmine Volpe e con la compagnia teatrale I Zanni. Il Carnevale si svolgerà in tre giornate, una in ogni paese con sfilate di carri allegorici, maschere, giochi e spettacoli vari.

A Carnevale si mangia tanto. Nel Sannio beneventano e in quello molisano, il Martedì Grasso si mangia tanto, fino a scoppiare. Una delle caratteristiche che accomuna un po’ tutta Italia, e anche il Sannio, è la presenza di chiacchiere e castagnole, unico comune denominatore delle varie regione della penisola. In molte zone sannite, tradizione carnevalesca del Martedì Grasso e del Sabato Santo, è quella della pastiera salata, una sorta di timballo di spaghetti o linguine, burro, parmigiano e pecorino, uova, e pezzettini di salame e salsiccia secca. A Castelvenere, borgo nel cuore del Sannio beneventano, il comune più vitato della Campania, la scarpella è il piatto tipico di carnevale, con lo stesso impasto della pastiera salata ma può essere fatta anche con pasta corta, bianca, in forno, condita con i prodotti tipici della dispensa contadina di queste zone: salsiccia secca, formaggio vaccino fresco, formaggio stagionato grattugiato, uova sbattute e olio rigorosamente extravergine di oliva. Un piatto di cui non si conosce l’origine, la cui particolarità sta nel fatto che di casa in casa variano le proporzioni degli ingredienti, i formati della pasta utilizzata e a volte le modalità di cottura. Piatto gustosissimo abbinato al vino rosso tipico del paese: il Barbera del Sannio. Nei vari comuni limitrofi, il Carnevale vede sulle tavole imbandite lasagne con polpettine di carne, o gnocchi al sugo.

Le scorpelle, invece, sono dei tipici dolci carnevaleschi della tradizione molisana, molto rinomati anche nella cittadina di Morcone. Vengono chiamate anche cartellate e sono molto semplici negli ingredienti, anche se è richiesta una buona manualità nella costruzione della “rosetta” con le varie strisce di pasta che la compongono. Le scorpelle richiamano molto le zeppole di San Giuseppe. Fatte di farina, uova, strutto, vino bianco, scorza di arancio e olio per la frittura, sempre rigorosamente extravergine di oliva, sono ottime da gustare con il prelibato miele sannita.

Regina delle tavole molisane è la cicerchiata, la cui etimologia riporta alle origini medievale della cicerchia, un legume simile a piselli o ceci, dolce riconosciuto come P.A.T., per l’Abruzzo, le Marche e il Molise, ma diffuso anche in altre regioni. È molto simile agli struffoli napoletani, il dolce natalizio dalle palline un po’ più grandi rispetto alla cicerchiata. Le sue origini sono sangritane, grazie allo sviluppo dell’apicoltura che permette di avere miele di ottima qualità. Alcuni sostengono che le sue origini siano marchigiane o umbre.









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