
Foto di Tiziana Bozzuto
Oggi facciamo una passeggiata a Santa Croce del Sannio, borgo di poche centinaia di anime che sorge nell’alta Valle del Tammaro sull’Appennino campano. Terra di transumanza, attraversata dall’antico tratturo Pescasseroli–Candela, e terra di pastorizia e di agricoltura, è un paesino ben radicato alle sue più vive e antiche tradizioni.
Il toponimo deriva dalla chiesa dedicata alla Santa Croce risalente all’VIII secolo, riedificata dai francescani nel 1245, che ancora oggi sovrasta il centro abitato. Ma con l’avvicinarsi della festività di San Giovanni, vogliamo dare spazio a una piccola cappella rurale a lui dedicata.
La festività di San Giovanni, che cade il 24 giugno, ossia all’inizio dell’estate, può essere felicemente festeggiata all’aperto, in piena campagna. La tradizione vuole che la mattina della giornata ci si lavi con l’acqua di rose, ed è ciò che accade in questo borgo che vive di tradizioni.
Già anticamente c’era l’usanza di preparare un’acqua profumata, nella notte tra il 23 e il 24 giugno, per la festa. Le ragazze in età da marito, quando era l’ora del tramonto, si recavano a raccogliere le rose per poterne immergere petali profumati in acqua fresca di sorgente o di pozzo, tersa, fresca e brillante, che veniva rovesciata in un apposito catino che diventava una sorta di specchio in cui riflettere i sogni di gioventù e augurarsi di vederli realizzati. Il catino poi veniva posto fuori casa, nell’oscurità, a riposare, in attesa che la rugiada vi si posasse. Il mattino seguente l’acqua poteva essere utilizzata e con essa ci si lavavano viso, mani e piedi, portando addosso a sé l’inebriante profumo di rose.
La festa di San Giovanni è per tradizione anche la festa dei compari, che si volevano bene persino più degli stessi consanguinei, senza liti o incomprensioni perché sarebbe come una vera offesa nei confronti del Santo stesso. E proprio per via del comparatico, a San Giovanni, nel borgo di Santa Croce si consumano pranzo e cena proprio nell’area attrezzata per pic-nic nella zona circostante la cappellina rurale.
Il culto nel paesino sannita ha radici molto antiche. In un catasto ordinato da Federico II nel 1239, nella descrizione del territorio di Santa Croce si parla di un “Colle di San Giovanni”. Ecco, è facile pensare che già all’epoca esistesse la cappella, la quale sorgeva lungo l’importante via mulattiera che dalla Piana di Morcone si collegava con il tratturo. Dallo stile semplice e asciutto, tutta costruita in pietra con un elegante campanile, essa si trova isolata in aperta campagna, in un sentiero boschivo attrezzato per piacevoli soste. Nel 1656 scoppiò la terribile peste e la cappella svolse un ruolo molto importante e significativo. All’interno, infatti, ancora oggi è possibile leggere l’epigrafe che recita “In tempore pestis 1656”.
Gli abitanti del piccolo paese si rivolsero proprio al Santo per intercessione e per chiedere protezione. Accadde una sorta di miracolo: nonostante la circostanza drammatica dell’epidemia, a Santa Croce aumentò, e non di poco, la popolazione.

Immagine di repertorio
Nel 1690 l’arcivescovo di Benevento, il cardinale Orsini, per la prima volta si recò in visita pastorale nel borgo e trovò la Cappella in condizioni davvero precarie. Fu per questo motivo che ne ordinò il restauro fino a che, nel 1710, essa fu consacrata al venerato San Giovanni. Più di cento anni dopo, i santacrocesi ne fecero scolpire una statua lignea da trasportare in processione in occasione delle celebrazioni liturgiche. Oggetto di due restauri nel 1942 e nel 2013, l’abside non ha di certo perso i suoi originali affreschi, conservati tutt’oggi nella chiesetta.