
Foto di Francesco Biasella
Si avvicina il 29 giugno e Isernia è pronta a festeggiare San Pietro Apostolo, a cui è dedicata la splendida chiesa cattedrale e una delle tradizioni più sentite di tutto il Molise.
Spesso il monumento più rappresentativo della città è considerato la Fontana Fraterna, detta anche delle sette cannelle. Nulla da eccepire, ma perché non dedicare una menzione più che particolare al duomo dedicato a San Pietro, tra l’altro chiesa madre della Diocesi di Isernia – Venafro? Si tratta di una struttura sacra molto particolare che si trova nel centro storico, datata al Medioevo, che sorge su un antico tempio pagano dedicato a Giove, risalente al III secolo a.C..
Dove ora, in piazza Andrea di Isernia, si eleva la chiesa, un tempo si incrociavano cardo e decumano: era qui presente l’area pubblica, con il foro, il teatro e il tempio. Le basi del tempio pagano e il grandioso podio furono poi utilizzati dai cristiani che vi costruirono appunto una cattedrale.
Il tempio latino non aveva l’ingresso verso la piazza del Mercato. Alle sue celle si accedeva originariamente da una grande scalinata sistemata nella parte opposta all’attuale ingresso, all’altezza di un vicolo dedicato a Giobbe che altro non è che la trasformazione dell’originario termine latino di Jovis. Il vico di Giobbe, quindi, è l’antica via di Giove, attraverso cui si arrivava al grande tempio dedicato alla triade capitolina: Giove, Giunone e Minerva.
Per la costruzione dell’edificio attuale alcuni materiali dell’antico tempio sono stati riciclati e ciò ha chiaramente reso più difficoltosa la ricostruzione delle fattezze dell’antico stabile. Scendendo al di sotto del pavimento della chiesa troviamo i resti italici, visibili grazie a un pavimento in vetro. Il podio è unico perché ha una forma strana, “a doppio cuscino”, per le sue sporgenze che ricordano un cuscino di certo non comodo ma che è una rarità. Il tempio fu poi dedicato al Divo Giulio Cesare, rivestito di marmo.
Gli interni della chiesa, a tre navate, sono davvero portentosi: arte barocca e neoclassica si fondono in una preziosissima opera architettonica. Tante le opere d’arte ospitate nelle più rappresentative cappelle interne, tra cui un altare barocco in marmi policromi, tavole bizantine e statue. L’organo a canne è uno dei gioielli più importanti presenti nella sacra struttura. Fu costruito negli anni Novanta del XX secolo dalla ditta padovana Fratelli Ruffatti, specializzata proprio in costruzione di organi. Si tratta di uno strumento a trasmissione elettrica.
La chiesa fu particolarmente interessata dal terremoto del 1349, a cui seguì una lenta ricostruzione; nel XV secolo riprese la sua funzione sacra e durante il secolo successivo venne completata la costruzione della torre campanaria, addossata alla fiancata sinistra e conosciuta come Arco di San Pietro proprio per la presenza di un arco ogivale. In stile gotico, essa è caratterizzata da un orologio nella parte finale e nei quattro angoli interni dell’arco sono disposte quattro statue originarie dell’antico foro romano. Nel XVIII secolo vi fu la svolta decorativa, con i numerosi abbellimenti dati dai pregiati marmi voluti dal vescovo Michelangelo La Peruta insieme a un importante pavimento in maiolica. Nel 1805 un altro terremoto danneggiò la struttura, a cui seguirono altri rifacimenti. Per costruire l’edificio fu riciclato del materiale proveniente dal tempio sottostante: la prima costruzione di epoca medievale era in stile greco-bizantino.

Immagine di repertorio
A San Pietro è dedicata anche una ancor viva tradizione che si tramanda da secoli e che rende Isernia, negli ultimi giorni di giugno, profumata delle varie fragranze che le cipolle, dolci, aspre, tonde o ramate, sanno sprigionare. È l’antica fiera della cipolla, molto probabilmente risalente a prima del Quattrocento quando Isernia era sede di prolifici scambi commerciali che avvenivano tra abitanti del territorio circostante.
La tradizione ha origine da una leggenda che ci racconta della madre di Pietro, una donna perfida che in vita sua aveva fatto una sola opera di beneficenza: donare una cipolla a un’anziana signora affamata. Si racconta che, mentre la donna fosse intenta a lavare le sue cipolle in un ruscello, una le scivolò di mano, arrivando alla poveretta che chiese il permesso di mangiarla. La madre di Pietro acconsentì. Data la sua cattiveria, una volta morta andò all’inferno. Chiese clemenza in virtù di quell’unico atto benefico e la ottenne proprio per intercessione del figlio con Gesù Cristo: le fu lanciata una treccia di cipolle per uscire dall’abisso e salire in paradiso, ma in quella occasione la signora dimostrò ancora una volta la sua cattiveria. Molti dannati, infatti, cercarono di arrampicarsi alla treccia proprio per provare a uscire da lì. In quel momento la perfida signora li spinse indietro scalciando e la treccia di cipolle si spezzò. Tutti ricaddero nelle loro bolge e anche la donna, per questo motivo, non fece ritorno dal profondo inferno.
Oggi la fiera, legata ai festeggiamenti dei Santi Pietro e Paolo, è la più attesa dai cittadini isernini. Quando nacque, l’intento fu quello di favorire il commercio della cipolla bianca coltivata dai produttori locali, anche se oggi ospita tutte le varietà esistenti.
Le origini del grande mercato risalgono alla morte di Federico II di Svevia, avvenuta il 13 dicembre 1250, anche se gli incontri mercantili in città sono assai più antecedenti. In ogni caso, un’antica pergamena datata 19 ottobre 1254 ne accenna per la prima volta.