Immagini dal Sannio: il Monte Mutria, terza vetta del massiccio del Matese

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Monte Mutria, foto di copertina tratta da trekkingfacile.it

Al confine tra Campania e Molise, nel cuore del massiccio del Matese, svetta il Monte Mutria, a 1823 m.s.l.m, ai margini delle province di Benevento, Caserta e Campobasso e dei comuni di Cusano Mutri, Pietraroja, Piedimonte Matese, Guardiaregia e Sepino. Una vetta tra due mari, si potrebbe dire: dalla sua cima, infatti, nelle giornate più terse, è possibile scorgere il mare Adriatico e il Tirreno, oltre a godere di una splendida veduta del Lago del Matese e sulle valli del Tammaro, del Calore Irpino e del Volturno. Un territorio che i Sanniti consideravano sacro: è nota a tutti, infatti, l’importanza che nel periodo antico aveva Saepinum. Il monte domina il settore orientale del massiccio matesino, con la sua lunga cresta ondulata e i versanti in cui è possibile notare l’alternanza di ampie zone boscose e ripide pareti rocciose. Vaste radure e prati sono adibiti al pascolo maggiormente di ovini, ma anche di equini. 

Un luogo dove tranquillità e silenzio regnano sovrani, in cui la memoria degli antichi riti della transumanza e il ritmo della vita pastorale ancora molto viva e sentita la fanno da padroni. Un luogo che è stato protagonista di storie leggendarie, memoria in essere di racconti di brigantaggio. I suoi suggestivi paesaggi sono rifugio da stress e caos. Sulla vetta principale ogni anno si recano numerosi pellegrini: una cappella dedicata a Sant’Antonio di Padova, infatti, è ambita meta di fedeli che vi arrivano a piedi, con devozione. Molte le grotte che qui si trovano, alcune di esse ancora mai esplorate. Numerose sono le faggete, caratteristica della zona, ma anche tanti pini sono nel territorio montano. Gli appassionati, ma anche i semplici visitatori, possono imbattersi in fragole e mirtilli, ma anche in colorati fiori come anemoni e papaveri. E ancora, funghi e tartufi per chi sa riconoscerli. Gli animali abitanti del Monte Mutria sono tassi, caprioli, cervi, lepri, ricci, ma ancora fagiani, gufi, civette, pipistrelli e barbagianni.

Perla bianca del Monte Mutria è Bocca della Selva, piccola località a 1450 m.s.l.m., nel quale è possibile sentire unicamente il vento che soffia nella sua fitta boscaglia, assieme a risate di bambini e adulti che in inverno approfittano di slittini e bob per potersi divertire tra un pupazzo di neve e una battaglia di palle e che in estate possono godere di rigeneranti passeggiate a piedi o a cavallo. Una località molto rinomata per il suo sottobosco ricco di funghi, tra cui i decantati porcini, e dove, tra l’altro, è possibile imbattersi in genziana, genzianella, arnica e issopo. Di suggestivo interesse è lo stupendo sentiero che conduce al monte, percorribile facilmente per chi è appassionato di passeggiate in montagna e trekking. Una zona oggi purtroppo abbandonata, nonostante sia ancora considerata la “perla bianca del Matese”, con la sua pista sciistica lunga tre chilometri ma dismessa. Un deserto bianco, così com’è stata definita, con strutture abbandonate, in un’area che un tempo era considerata lustro e vanto della zona matesina. Ciò non toglie che la memoria del tempo che fu la rende ancora una delle regine matesine.

I borghi che sono toccati dal Monte conservano tutti una suggestiva dose di storia, cultura, bellezza e spirito identitario. Cusano Mutri mantiene tutt’oggi il fascino medievale dei tempi passati. Il suo centro storico, caratterizzato dalle sue tipiche case bianche in pietra, è un vero dedalo di viuzze e scalinate da salire e scendere e poi risalire, ma da cui, all’improvviso, si affacciano slarghi, piazze e chiese. Fra tutte le sue belle chiese, rilevante è la Chiesa di San Giovanni Battista, la più grande di Cusano, con la sua facciata in stile romanico e un interno di tipo basilicale, con imponenti colonne di pietra, in cui è conservata l’importantissima Sacra Spina della Corona posta sul capo di Gesù, portata dal cavaliere Barbato di ritorno dalla Terra Santa. Da quel momento la popolazione fedele di Cusano Mutri ha fatto ricorso alla Spina Santa in ogni momento di bisogno, invocandola e portandola in processione, ottenendo sempre dei miracoli. Cusano si trova in un contesto naturalistico e paesaggistico davvero notevole, gode di ampi e distesi spazi verdi, vallate in cui pastorizia e allevamento di bovini e ovini sono il punto fermo della vita e dell’economia. Ecco, quindi, che formaggi, caciocavalli, caciotte, prosciutti, salumi tipici prendono vita dalle sapienti mani degli artigiani della gastronomia locale. I suoi numerosi sentieri e campi incontaminati sono meta di turisti estivi che cercano riparo nel periodo di forte afa e calura, e turisti invernali che amano passeggiare negli innevati spazi bianchi cusanesi, dove qua e là sorgono molte fattorie e aziende agricole che soddisfano il palato sopraffino dei buongustai, con la loro genuina e semplice ospitalità. Le ampie distese e i bellissimi paesaggi naturalistici sono la meta ideale per gli amanti del trekking a cavallo. Le sue forre, la Gola di Caccaviola, le Gole di Conca Torta, sono un incanto per occhi e cuore.

La cappella di Sant’Antonio, foto di Adriana Gallinella

Pietraroja è oggi considerata un vero e proprio museo all’aperto, da tutelare e sempre più migliorare per la nostra cultura e per il sapere da tramandare. Si pensa che oltre a Ciro, a Pietraroja potrebbe esserci dell’altro e che questo paesino possa raggiungere vette di importanza e fama a livello planetario. Ciro è uno dei ritrovamenti più straordinari legato a questo piccolo borgo di poche centinaia di abitanti. Si tratta di un cucciolo di dinosauro dal peso di 200 grammi e vissuto 113 milioni di anni fa, che ha fatto del centro di Pietraroja, paese che prende il suo nome dal colore della bauxite (pietra rossa) presente in grandi quantità nella zona, la sede di un ente geopaleontologico di grande rilevanza, il cui museo è stato allestito addirittura da Piero Angela. Nel 1978, il geologo Scipione Breislack segnalò per primo la presenza di pesci fossili nei dintorni del borgo, e oggi, grazie anche al suo iniziale contributo, il Parco Geopaleontologico di Pietraroja è uno dei più importanti giacimenti fossiliferi italiani, conosciuto da più di 200 anni. In passato, ossia milioni e milioni di anni fa, in questo territorio vi era una piccola laguna le cui particolari condizioni ambientali e geologiche hanno permesso la conservazione degli organismi marini e terrestri che tutt’oggi possiamo ammirare come reperti fossili. Nell’Annuario generale del Regno del 1933, Pietraroja era indicata come “località alpestre, di rigidissimo clima, alle falde del Monte Mutria”. E si aggiungeva: “Si producono ottimi prosciutti che vengono esportati“. Il Prosciutto di Pietraroja è riconosciuto come PAT – Prodotto Agroalimentare Tradizionale dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, su proposta della Regione Campania. È caratteristico per la sua essiccazione naturale, la lieve affumicatura e una morbida consistenza.

Piedimonte Matese è una cittadina di origine medievale, il cui abitato, interessato da una significativa espansione edilizia, sorge nel punto di confluenza di tre vallate pedemontane. Fu fondata nel IX secolo d.C. dai Longobardi, ma numerose testimonianze archeologiche documentano la presenza dell’uomo fin dall’epoca neolitica, come testimoniato dai reperti archeologici (armi litiche e terrecotte) e dai resti delle mura megalitiche, sannitica e romana. Nel IX secolo si formò il primo nucleo abitato di Piedimonte, stretto attorno alla chiesetta di san Giovanni e situato in posizione dominante e di controllo della Piana Alifana e della Valle del Volturno. Nell’arco del secolo successivo la popolazione del piccolo insediamento aumentò grazie ai profughi provenienti dalla piana alifana, devastata dalle incursioni saracene. Con i Normanni la cittadina accrebbe a baronia. Degno di nota è il Palazzo ducale dei Gaetani d’Aragona, rifatto agli inizi del secolo XVIII, che conserva della precedente costruzione alcune finestre ogivali, un portale del Seicento, uno del secolo XV e stucchi e dipinti del secolo XVII. Il Museo Civico Raffaele Marrocco è intitolato al suo fondatore, storico della zona, che si adoperò per istituirlo nel 1912 e per redigere il primo catalogo. Ospitato inizialmente in un locale del convento del SS Salvatore, nel 1927 passò in alcuni ambienti dell’ex convento di San Tommaso. È stato riaperto nel 2013 con un nuovo allestimento incentrato sulla collezione archeologica, forte dell’importante statuetta denominata Corridore di monte Cila, e sulla collezione civica contenente bambole, ceramiche cerretesi, quadri e cimeli del passato.

Guardaregia, ai confini tra Molise e Campania, è una bella testimonianza matesina di incanti e meraviglie naturalistiche. È proprio qui, infatti, che boschi, grotte, cascate e canyon fanno parte di una delle più grandi oasi del WWF in Italia, esattamente quella di Guardiaregia-Campochiaro. Paesaggi unici e luoghi in cui perdersi tra il silenzio della natura e invitanti meditazioni personali, a tu per tu con il fruscìo delle foglie, con l’aria salubre e incontaminata, con i passi felpati di animali in lontananza, con le emozioni di prati in fiore e di cascatelle d’acqua che saltano e schizzano. Tutto ciò sotto l’imponente Monte Mutria e una vasta distesa di faggi, tipici della zona, tra i quali ve ne è addirittura uno di 500 anni, con una circonferenza del tronco che per poco non arriva ai 5 metri. Lecci, lupi, nibbi, tassi, poiane per proseguire sulla scia matesina che porta a Bocca della Selva.

Sepino si trova in provincia di Campobasso, nella Pentria alle falde del Matese, a sud della zona Peligna e a nord di quella Irpina. Fu prima roccaforte sannita con il nome Saipins, poi prese il nome latino Saepinum, quando divenne una piccola città romana, e nel Medioevo assunse il nome di Altilia. Fu edificata nei primissimi anni del I secolo d.C. e non è stata ancora completamente scavata ma è perfettamente conservata. È un gioiellino della storia romana ed ebbe un’importante espansione quando diventò luogo di villeggiatura termale. Molto probabilmente, i primi insediamenti risalgono alla preistoria e il corso del fiume Tammaro ha potuto di sicuro incentivare la nascita di agglomerati abitativi, sia pure di dimensioni modeste, oltre che di innumerevoli tratturi. Come tutte le popolazioni sannitiche dislocate lungo l’Appennino dell’Italia centro–meridionale, gli abitanti di Saepinum erano legati a pastorizia e agricoltura. “Montani atque agrestes”, li definì Livio. Ancora oggi, nell’area archeologica è possibile passeggiare tra edifici che conservano molte delle caratteristiche originali. Le mura e le torri della città, costruite dai figli adottivi di Augusto, Tiberio e Druso, oltre al Foro, ospitano l’antico mulino, botteghe e abitazioni private. Le mura reticolate sono realizzate con il calcare del Matese, tagliato in blocchetti minuti e sagomati a forma di piccole piramidi, a base quadrata o rettangolare. Nel 1846, in una lettera del 14 marzo, Theodor Mommsen, il più grande classicista del XIX secolo, parlò di Altilia così: “Tutto l’agro è ancora intatto, tutte le porte della città, una di esse ha ancora l’arco intero… Il teatro in Altilia è ben conservato, la strada principale è ancora lastricata da enormi pietre, è completa, ci sono molti mucchi di pietre delle quali è riconoscibile la loro provenienza da edifici e templi e, quanto altro sta nella terra è indescrivibile! Macerie ed iscrizioni sono sparse dovunque… come dappertutto vi sono colonne. È questo un luogo unico!”









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