È molto vasto il comune di Chiauci, nell’alto Molise in provincia di Isernia, anche se conta poche centinaia di abitanti. Il suo centro storico, oggi in gran parte disabitato, è caratterizzato dalla costruzione di case in pietra locale, ma ha una ricchezza indicibile: la natura rigogliosa, incontaminata, la fitta vegetazione e vasti boschi in cui respirare i suoni armonici naturali che ci circondano. Il luogo perfetto per intraprendere un viaggio che segue il percorso del turismo lento e sostenibile, dedito da sempre alla pastorizia e all’agricoltura. Un territorio ricchissimo di risorse idriche, come testimoniato dall’acquedotto in grado di servire numerosi comuni di diverse regioni limitrofe. Il Trigno che lo attraversa, inoltre, è stato sbarrato per far posto alla diga di Chiauci inaugurata il 4 aprile 2011, a servire comuni molisani e abruzzesi. Lo sbarramento è stato realizzato nella bellissima gola della Foce dove, prima della distruzione, era possibile ammirare una cascata con un salto di circa 60 metri, area che rappresentava un luogo di grandissimo interesse naturalistico e paesaggistico, censito dal CNR tra i biotipi di importanza nazionale. Nella località Vomero c’è una splendida grotta, la Grotta del diavolo, scoperta dallo speleologo Paglione, il cui percorso si inoltra per circa 800 mt. In essa, nel corso delle esplorazioni speleologiche, sono stati recuperati numerosi manufatti litici attribuibili alla cultura Musteriana. Ci si può recare a Chiauci in occasione dell’11 novembre, giorno di San Martino, per assaggiare gli gnocchi con sugo di maiale e contorno di zucca con patate schiacciate e pancetta, oppure la ch’coccia e patan’ p’stiat, crema di patate e zucca con pancetta rosolata e formaggio. Quest’ultima pietanza è inserita tra i beni immateriali della rete italiana di cultura popolare e codificata dall’Accademia italiana di Cucina. Tipica anche la polenta di farina di granturco e patate, con salsiccia e polpa di maiale, pecorino e pomodoro, ma anche la pizza di grandigne, impastata con acqua e olio, cotta sulla brace del camino. Lo squattone, invece, è un pasto invernale, a base di pasta fresca, acqua di cottura e vino rosso. Chiauci è, dunque, un borgo ideale per il relax e per un soggiorno nella natura, tra passeggiate e silenzio, in un patrimonio boschivo incontaminato in cui, virtualmente, voglio portarvi.
Il Bosco di Sant’Onofrio è un vero e proprio scrigno di tesori e bellezze. È caratterizzato da una cinta muraria sannitica risalente al IV secolo a.C.. Recarsi al bosco vuol dire rilassarsi all’ombra di alberi di cerro maestosi, che arrivano a raggiungere anche i 30 metri di altezza oppure, per gli appassionati di trekking e mountain bike, è possibile percorrere uno dei numerosi sentieri ivi presenti. Il bosco si trova a pochi passi dal tratturo Lucera – Castel di Sangro e ospita una bella chiesetta campestre immersa nella quiete del fitto bosco. Si tratta dell’Eremo di Sant’Onofrio, di cui le testimonianze dell’esistenza risalgono al Settecento. Fu don Matteo de’ Cepollino a citarne la presenza, riferendosi a una piccola “Chiesa extra moenia detta di Sant’Onofrio”, con un solo altare, “al di là del fiume Trigno”. Molto probabilmente il bosco che la ospita fu uno dei numerosi luoghi di eremitaggio legati al culto del Santo, scelto dai monaci benedettini che, alla fine della vita monastica, preferivano la solitudine, ritirandosi da eremiti come ultima tappa del proprio percorso spirituale. Si cercava di percorrere la via della contemplazione, così come facevano i monaci orientali. Anche Sant’Onofrio fu un monaco eremita vissuto nel IV secolo d.C. che, secondo l’iconografia ufficiale, vestiva solo dei suoi peli. Il giorno della festa di Sant’Onofrio, che cade l’11 giugno, la statua del Santo viene portata in processione dalla chiesa di San Giovanni all’eremo nel bosco, per far ritorno in paese il 16 agosto con un’altra processione. L’area, già in parte attrezzata per pic-nic, oggi ospita anche un parco avventura, contribuendo maggiormente all’arricchimento dell’offerta turistica.
Il Bosco di Monte Lupone confina con i comuni di Pescolanciano e Pietrabbondante. È un’area naturalistica ricca di cerri, querce secolari e abeti bianchi, questi ultimi tipici del territorio molisano, ed è un’oasi molto ambita dai cercatori di funghi e di tartufi. In Località La Ciocchetta, il punto più alto del bosco a 1028m s.l.m., per cui non facilmente accessibile, si trovano i resti di un antico tempio sannitico sui quali, con ogni probabilità, nel XIV secolo fu eretta la piccola chiesa rurale di San Nicola, un santo molto venerato dai comuni attraversati dal tratturo. Lungo la strada che da Chiauci porta alla contrada Sant’Andrea di Pietrabbondante c’è la contrada Marangone, con macchie di arbusti in prevalenza di ginestre, biancospino, rovi e boschetti di pino nero e altre conifere. Si vedono qua e là orme di cinghiali, ma la regina della zona è un grandissimo albero con una imponente chioma, dal tronco circolare, i rami contorti. Si tratta di una immensa quercia che è diventata un simbolo del luogo, amata e coccolata dagli abitanti della zona e molto ricercata dai turisti e dagli appassionati. La quercia si trova a pochi chilometri dalla Riserva Statale Naturale di Collemeluccio – Montedimezzo, situata nel cuore dell’Appennino molisano, nei territori dei comuni di Vastogirardi e Pescolanciano, vasta area composta da circa 300 ettari, una delle otto Riserve della Biosfera italiane. A due passi, nella medesima contrada, si può ammirare anche la Grotta verde, conosciuta anche come Grotta dei Briganti, legata appunto ai fenomeni di brigantaggio che hanno visto protagonista il territorio molisano.
Giornalista