Immagini dal Sannio: la scrittura beneventana, fine grafia della Langobardia

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Antica pergamena in scrittura beneventana

Non è mia intenzione fare un trattato di filologia medievale, tantomeno di archeologia. Ma raccontare della grandezza culturale che Benevento, e la Langobardia Minor, hanno avuto nel corso della storia è qualcosa che non stanca mai. E il mio breve excursus di oggi non vuole avere nessuna pretesa scientifica, piuttosto vuol essere un breve viaggio nella storia e nel sapere delle nostre terre. Si parla tanto di Langobardia Minor, dei suoi influssi culturali, e anche di scrittura beneventana. Di cosa si tratta? Avete presenti le antiche pergamene in scrittura fine e simil gotica, elegante, che caratterizza maggiormente storici codici miniati? Ecco, la scrittura beneventana è una grafia minuscola medievale che ha avuto origine nel ducato di Benevento, così denominata dal paleografo Elias Avery Lowe. Talvolta è stata anche chiamata scrittura langobarda (o longobarda o longobardisca), per la prima volta da Mabillon che l’ha distinta da quella francisca, termine con cui veniva indicata la scrittura carolina. La beneventana è la scrittura minuscola che per ben cinque secoli è stata utilizzata nell’Italia meridionale e fu l’abbazia di Montecassino uno dei maggiori centri di diffusione. Si sviluppò a partire dall’VIII secolo, e si affermò tra il X e l’XI secolo. La sua diffusione, però, non riguardo soltanto l’area del ducato di Benevento: essa, infatti, si riscontra nella maggior parte del territorio meridionale ma anche sulla costa della Dalmazia. Praticamente, per la maggior parte lì dove erano presenti centri, monasteri e circuiti culturali e religiosi benedettini. Alcuni importanti classici della letteratura latina sono pervenuti a noi unicamente in scrittura beneventana, come il De lingua latina di Varrone. Non solo: numerosi sono anche i trattati di medicina, storia, religione, o di argomentazione spirituale o liturgica. Solo nella biblioteca di Montecassino sono attualmente conservati 232 manoscritti in scrittura beneventana, molti dei quali compilati in loco.

Foto di copertina, codice miniato in scrittura beneventana

La lingua, fine ed elegante, presenta forme perlopiù arrotondante e un tratteggio fluido, oltre alla tipicità gotica di alcune lettere, quali la “a” e la “t” ma anche la “i”. Molto caratteristiche sono le punteggiature, ma anche le abbreviazioni riscontrate. Una variazione barese si distingue da quella detta di Montecassino: essa, infatti, pare fosse influenzata da un tipo di minuscola greca utilizzata a Bari ai tempi della dominazione bizantina, con forme più arrotondate, un tratteggio più sottile, grazie all’utilizzo di penne dalla punta diversa, tipiche della cultura greca, e altre caratteristiche stilistiche dissimili dalla più nota versione. La lingua, come già accennato, col passare dei secoli è stata soppiantata da quella carolina e dalla vera e propria lingua gotica, grazie all’avvento dei Normanni e dei monaci cistercensi, che gradualmente presero il posto di quelli benedettini della tradizione. Eppure, essa fu ancora utilizzata a Montecassino e in alcune aree del sud della Campania: la maggior parte dei testi che venivano trascritti e tradotti erano latini; i testi coevi venivano scritti direttamente in lingua carolina. Evidentemente, la scrittura beneventana fu via via ritenuta non adatta per la scrittura in lingua nuova. Nella seconda metà del Novecento, alcuni studiosi cominciarono a nutrire forti dubbi sul fatto che la scrittura beneventana avesse avuto vasta diffusione a partire da Montecassino, con una importante osservazione: a loro dire, infatti, tale scrittura si formò già nel X secolo proprio a Benevento, che all’epoca era la capitale della Langobardia Minor. Forse, a detta di questi studi scientifici, essa da Benevento si diffuse in molte zone del meridione. E da Benevento si diffuse nelle altre parti del meridione italiano.









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