
Foto di Milk Cop
Ci sono zone del Sannio maggiormente dedite alla pastorizia, dove sono ancora vivi i ricordi della transumanza. E proprio lì, il rito collettivo primaverile della tosatura delle pecore, tramandato da generazioni di pastori, è sempre vivo e sentito.
Maggio è il mese in cui questa pratica ha luogo, date le prime vere calde temperature che si allontanano dal tepore primaverile e che vanno incontro a un caldo più vicino a quello estivo. È questo il mese in cui le pecore cominciano a sentirsi appesantite dal loro manto lanoso, motivo per cui arrivano i primi tagli che possano eliminare il volume della loro peluria. Una pratica assolutamente naturale e necessaria: se non vi si ricorresse, infatti, gli animali potrebbero andare incontro a cali fisiologici e produttivi. Il vello, tra l’altro, essendo diventato troppo lungo, potrebbe essere d’intralcio per le pecore che rischierebbero di impigliarsi in cespugli e rovi, riempiendosi di spine. Il benessere dell’animale, dunque, è la motivazione principale per cui si ricorre a tale pratica.
Tutto ha inizio quando i pastori portano le proprie pecore verso fiumi o torrenti, per permetter loro di lavarsi e far sì che venga asportata ogni forma di impurità o sporcizia che altrimenti potrebbe rimanere attaccata alla lana, rendendola così meno pregiata. Convogliano poi le proprie greggi in un recinto, nei cui pressi vi sono capannoni atti ad alimentare gli animali, i quali, durante l’atto della tosatura, potrebbero risultare spaventati. Mangiando, invece, le bestie si sentono più rilassate e vanno incontro a un momento di maggiore tranquillità. Spesso le pecore vengono legate alle zampe proprio per impedire movimenti involontari.
Molte sono le comunità di pastori, le aziende dedite alla pastorizia, le famiglie che si occupano di questa pratica, in particolare nell’areale matesino, come a Pietraroja o nell’area montana casertana o molisana, che offrono l’opportunità di assistere al taglio del vello. E sono tanti quelli che invece di utilizzare moderni macchinari per la tosatura tramandano le antiche pratiche ereditate dai genitori, utilizzando forbici, meglio ancora rudimentali cesoie, e tanta manualità.
Sul piano antropologico e sociale, quello della tosatura è considerato un rito collettivo, con tipici cerimoniali che nel tempo non cambiano. Un tempo, infatti, era sempre accompagnata da tradizionali festeggiamenti di carattere socializzante e conviviale. Tradizione che spesso resiste.
Molta accortezza viene messa a punto dai tosatori che dimostrano di essere sempre attenti affinché gli animali non si facciano involontariamente male a causa delle lame affilatissime, ma anche per poterne ricavare la maggiore quantità di lana possibile. In ogni caso, durante la tosatura le forbici vengono affilate e continuamente inumidite, proprio perché le lame siano efficaci nel raggiungere un taglio veloce e perfetto. Una volta conclusa la tosatura, l’animale viene liberato e riportato nel gregge.
Oltre alla famiglia dei pastori, l’attività della tosatura spesso e volentieri coinvolge anche amici, conoscenti e buoni vicini di casa. In particolare, gli uomini si occupano dell’affilamento delle lame e della pratica di taglio, mentre i più giovani, un tempo, si cimentavano nel realizzare sacchi per conservare la lana. Le donne, invece, assistono gli uomini preparando succulente pietanze che, alla fine del lavoro, vengono consumate in un banchetto che ospita tutti coloro che hanno contribuito alla buona riuscita dell’attività. Durante la festa si beve tanto vino e si mangia tutto ciò che di buono una pecora può offrire: dalla ricotta al formaggio, fino a ogni forma di derivato.
Non solo: spesso viene offerta una delle tradizionali colazioni dei pastori, a base di pane, formaggio, olive e vino. Una bella occasione per mangiare in compagnia, per bere del buon vino e per dilettarsi in allegri canti e balli.

Foto di Massimo Martini
Prima di essere lavorata, anticamente la lana veniva ridotta in filati di diverso spessore e quindi trattata. Innanzitutto si ungeva con dell’olio d’oliva di bassa qualità, fino all’utilizzo di olio di semi che aveva un costo minore. Questo procedimento serviva a non far spezzare il filo di lana durante la lavorazione. La lana veniva poi utilizzata per prodotti domestici e talvolta venduta. La vendita, in particolar modo, era una pratica molto remunerativa, poiché la lana, prima di essere soppiantata dalle fibre sintetiche, veniva utilizzata per imbottire i cuscini e i materassi oppure per preparare matasse di filato di colorato nelle apposite tintorie (pratica che nel passato era molto in voga a Cerreto Sannita) affinché potessero essere utilizzate nella realizzazione di maglioni, tappeti, tessuti e coperte.
Prima di indossare gli indumenti di lana bisognava eliminare l’olio utilizzato in precedenza: ecco, dunque, che si ricorreva a una liscivia molto leggera, con cenere che per giorni veniva tenuta vicino al camino, per questo detta “cenere ricotta”. La lana veniva risciacquata continuamente fino a che ogni traccia di unto spariva. A volte al posto della liscivia veniva utilizzata dell’acqua saponata, con sapone rigorosamente fatto in casa.