Immagini dal Sannio: l’abbazia di San Vincenzo al Volturno, unicum dell’archeologia cristiana e medievale

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L’abbazia di San Vincenzo al Volturno, foto di copertina di Adolfo Jepson Silverii

Castel San Vincenzo è un piccolissimo centro di origine medievale che non arriva a contare 500 abitanti, ai piedi delle Mainarde, ai confini con Rocchetta al Volturno. Un territorio che sin dall’epoca più antica vede come protagonista una vasta distesa di vigneti e oliveti, simbolo di una popolazione rurale e di un territorio improntato sullo stampo contadino. Qui ci si può imbattere nel bellissimo lago, un invaso artificiale realizzato sul finire degli anni Cinquanta del secolo scorso per scopi idroelettrici, alimentato dalle acque provenienti dai torrenti della Montagna Spaccata, nei comuni di Alfedena e Barrea, nel Parco Nazionale d’ABruzzo, che, a loro volta, alimentano le centrali Enel di Pizzone, Rocchetta a Volturno e Colli a Volturno. Nulla importa se si tratta di un lago artificiale: guardarlo, viverlo e respirarlo regala un senso di pace e armonia, e il paesaggio comprende tale invaso in maniera armonica, nel pieno rispetto del contesto naturalistico presente, con le sue montagne e i distesi boschi.

Era proprio qui che sorgeva l’antico monastero benedettino di San Vincenzo al Volturno, uno dei più importanti del Medioevo. La leggenda narra che l’abbazia sia stata visitata da Carlo Magno e che fu al centro di un aspro scontro fra monaci longobardi fedeli al proprio duca e monaci favorevoli ai franchi. Il racconto tramanda che fu lo stesso Carlo Magno a far prevalere e a favorire questi ultimi che provvidero a potenziarne il cenobio e a edificare una grande chiesa. Essa, nel susseguirsi dei tempi, ha dato interessanti testimonianze della cultura e della fede dell’intera valle. Il cantiere di scavo archeologico abbaziale è condotta dall’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, che dal 1998 ne ha la direzione scientifica, con il sostegno del Museo Archeologico Nazionale di Napoli e in collaborazione con la Soprintendenza ABAP e il Polo Museale del Molise. Grazie all’imperterrito lavoro degli archeologi si è avuta testimonianza che non si trattasse solo di un monastero, ma che fosse anche un vero quartiere produttivo, nel quale venivano conservati forni per vetri, laterizi e metalli. Il sito archeologico da più di vent’anni rappresenta un fiore all’occhiello per studiosi e ricercatori dell’Unisob ed è da considerarsi come luogo unico in Europa per la conoscenza del patrimonio storico-artistico altomedievale: le diverse scoperte che nell’ultimo ventennio sono venute alla luce, come dichiarato al quotidiano Primo Piano Molise da Federico Marazzi, docente di Archeologia Cristiana e Medievale presso il Suor Orsola e direttore degli scavi, “è un sito eccezionale nel panorama dell’archeologia cristiana ed europea e ci racconta come nessun altro come fossero i grandi monasteri del tempo dei Longobardi e di Carlo Magno, grazie all’enorme mole d’informazione che gli scavi hanno permesso di conoscere” .

Le origini del monastero di San Vincenzo al Volturno si possono ritrovare nel famoso Chronicon Vulturnense, un codice miniato in scrittura beneventana redatto intorno al 1130 dal monaco Giovanni che intese redigere la cronaca per riordinare le memorie dell’antico cenobio benedettino in un momento molto particolare, durante il quale il patrimonio monastico era minacciato dalla presenza dei Normanni. Il Chronicon è oggi conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, e grazie a esso è possibile ricavare tantissime informazioni inerenti allo studio del monastero benedettino. Esso fu fondato da tre nobili beneventani, Paldone, Tasone e Tatone, conosciuti come Paldo, Taso e Tato, che desideravano chiudersi in una vita fatta di meditazione e contemplazione, e per tal motivo si recarono presso l’abbazia di Farfa, in provincia di Rieti, dove l’abate Tommaso di Morienna suggerì loro di fondare un cenobio lungo le rive del Volturno. Il progetto fu sostenuto dalla chiesa di Roma e dal duca di Benevento. Per il papato significava acquisire un certo spessore all’interno delle dinamiche geopolitiche della zona, mentre il duca di Benevento desiderava incrementare il prestigio dell’intero ducato che già ospitava al suo interno l’autorevole complesso cassinese. I due insediamenti benedettini si trasformarono, in seguito, nei centri religiosi più attivi, prosperosi e cruciali di tutto l’Alto Medioevo. In ogni caso, in quel luogo Paldo, Taso e Tato trovarono già un oratorio dedicato a San Vincenzo, fondato dall’imperatore Costantino, in viaggio da Roma verso Bisanzio.

Affresco della cripta di Epifanio raffigurante la Madonna in trono benedicente e sei angeli con scettro e globo. Foto di Sailko

L’area a ridosso di Castel San Vincenzo in passato era stata interessata da un insediamento romano: ne era presente una chiesa affiancata da un’area funeraria. Nel corso del IX secolo, gli abati Giosuè, Talarico ed Epifanio trasformarono il cenobio in una vera e propria città monastica, con grandi progetti che fecero arrivare il monastero alla capienza di circa 350 monaci, comprendendo ben dieci chiese e possedendo terre in gran parte dell’Italia centro-meridionale. Nella seconda metà del IX secolo, invece, tre eventi segnarono negativamente le sorti del monastero: il terremoto dell’848 che danneggiò gravemente alcuni edifici dell’abbazia, la minaccia dell’860 da parte di Sawdan, l’emiro che si fermò solo dopo aver ricevuto un tributo di 3.000 monete d’oro, e l’evento dell’881 in cui un nuovo gruppo di Arabi al servizio del duca-vescovo di Napoli Atanasio II attaccò il complesso monastico saccheggiandolo e incendiandolo. Alla fine di questa drammatica esperienza, alcuni monaci superstiti fuggirono a Capua, mentre quelli meno fortunati vennero portati via prigionieri dagli assalitori. Tra quelli che cercarono rifugio a Capua, alcuni tornarono a San Vincenzo per tentare di ricostruire il cenobio, progetto che vide concrete fattezze alla fine del X secolo grazie anche al sostegno, politico ed economico, degli imperatori tedeschi Ottone II e Ottone III. Verso la fine dell’XI secolo i monaci, che assistevano a continue insurrezioni da parte dei Normanni, decisero di trasferire la comunità cenobitica lungo la riva destra del Volturno, in una posizione diversa, più sicura e fortificabile. Fu qui che cominciò il declino del monastero, con la diminuzione dei componenti della comunità, finché, nel 1699, passò sotto la giurisdizione dell’abbazia di Montecassino.

La basilica di San Vincenzo Maggiore per bellezza e dimensioni era certamente un unicum in tutto il meridione d’Italia. Comprendeva la chiesa, originariamente dedicata alla Vergine, delle officine che si addossavano sulle mura e la cappella di Santa Restituta. La cripta della basilica, parzialmente sotterranea, ha un corridoio ricoperto da una volta a botte e termina in una camera nella quale erano collocate le reliquie di San Vincenzo, forse in una grande urna, oppure all’interno di un sarcofago. Era molto probabilmente decorata con affreschi. La cappella di Santa Restituta risale all’ultimo quarto dell’XI secolo: si tratta di un edificio a tre navate con tre absidi, di pianta quasi quadrata. Fu eretta a memoria del monastero quando si avviarono i lavori per la sua demolizione e riedificazione sulla riva destra del fiume Volturno. La basilica fu consacrata nell’808, con un impianto a tre navate, ognuna delle quali presenta la propria abside. Le pareti della basilica molto probabilmente, in origine, erano interamente affrescate.

Il complesso detto di San Vincenzo Minore, invece, comprende differenti ambienti, ma la cripta di Epifanio è certamente quello più importante e interessante. Essa fu realizzata insieme alla ristrutturazione della chiesa: si tratta di una struttura con pianta a croce greca, coperta da una volta a botte, decorata da una serie di affreschi che ancor oggi rappresentano uno degli esempi più importanti per la pittura medievale a livello europeo, che iconograficamente si presentano come una meditazione sulla figura di Gesù, figlio di Dio, e sul significato della sua venuta tra gli uomini, come molte altre scene che ne rappresentano la vita. Gli affreschi sono un esempio del movimento pittorico longobardo beneventano, opera di artisti anonimi legati alla Scuola di miniatura beneventana, realizzati nel secondo quarto del IX secolo. Infine, vi è il complesso di San Vincenzo Nuovo, detto anche Abbazia Nuova, risalente agli inizi del XII secolo, la cui basilica venne consacrata da papa Pasquale II nel 1115. Una struttura modificata dai vari interventi di ristrutturazione e di recupero, ma che in origine doveva presentarsi come un edificio a tre navate divise da due file di dieci colonne.


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