Immagini dal Sannio: pomodorini invernali e passata di pomodori casalinga

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In copertina, pomodorini verneteca.
Foto di Fabio Alfano

Se proviamo a guardare il Sannio attraverso gli occhi di un drone oppure comodamente seduti in aereo o in elicottero, ne rileviamo colori e manti di terreno tappezzati di immense coltivazioni. È questo il volto del Sannio rurale, quello dei prodotti a chilometro zero, quello che più caratterizza territorio e popolazione. Ed è proprio nel Sannio che si tramandano, da generazioni, tradizioni dure a morire e che, per fortuna, anche i più giovani intendono coltivare e portare avanti.
Antichi riti e rituali in cui, se proviamo a chiudere gli occhi, riusciamo a captare le voci delle nostre nonne che chiacchieravano nei cortili, nei garage, sugli usci delle case, quando il vociare allegro dei bambini riusciva a coprire il suono dei loro aneddoti, risate e segreti.
È da poco passata la stagione della raccolta dei pomodori ma non è di certo tardi per i pomodorini invernali.

I verneteca, pomodorini d’inverno che resistono alle temperature fredde, sono tipici delle aree pedemontane dell’Appennino sannita. La Valle Telesina custodisce la tradizione della coltivazione del verneteco, dall’intenso sapore e dalla buccia giallognola, con una consistenza spessa che lo rende resistente al freddo. Grazie a questa particolarità, il buon pomodorino, fresco di raccolto, può essere consumato anche nel periodo invernale.
Si conserva per tutto l’anno, seppure venga raccolto fra agosto e settembre. I comuni più vocati alla sua coltivazione sono Cerreto Sannita, Cusano Mutri, Pietraroja, Pontelandolfo, Casalduni, San Lorenzello, Solopaca, Ponte, San Lorenzo Maggiore, San Lupo. Piccolo e tondo, appartiene alla famiglia del pomodoro ciliegino, con la polpa dal colore rosato e ricco di vitamina C, ottimo rimedio per i malanni delle stagioni fredde e, per questo motivo, dal sapore acidulo, ma gradevole.
Al giorno d’oggi sono pochi i produttori che coltivano tale varietà, e lo fanno prettamente per un consumo familiare. La Fondazione Slow Food ha riunito i verneteca in un presidio con lo scopo di tutelarne la tradizione, per non perderne le tracce e incentivare l’incremento delle quantità prodotte, cercando altresì di coinvolgere altri produttori.
Questi pomodorini vengono consumati perlopiù crudi, in insalata o sul pane, e talvolta li troviamo anche sulle pizze. Un buon piatto saporito, semplice e genuino? Una spaghettata, in cui i verneteca tagliati, in una padella in cui si è fatto soffriggere qualche spicchio d’aglio in olio d’oliva, vengono fatti saltare a fuoco medio fino a che la salsa non sia ben amalgamata. Tolto l’aglio, a discrezione viene aggiunto un po’ di peperoncino, e gli spaghetti vengono tuffati nella padella e fatti saltare per qualche minuto nel sugo di pomodoro. Parmigiano o ricotta salata a condire, poco importa: il piatto, dal sapore intenso, non troverà qualcuno che avrà il coraggio di dissentire sulla poesia data dal suo gusto magico e meraviglioso.

Uno sguardo all’estate che ci sta lasciando? Il Sannio, tra luglio e agosto, si è reso protagonista delle conserve fatte in casa: barattoli, bottiglie, tegami e la classica fragranza del frutto rosso della terra estiva, danno vita a un rito che riunisce famiglie. Madri che hanno raggiunto le case delle nonne, vicini di casa pronti a darsi una mano d’aiuto, il ribollire, nei grossi tegami, del sugo, dove qua e là qualcuno inzuppava un pezzo di pane: piccoli ma grandi momenti di vita che sono riusciti a diventare un piacevole rituale quotidiano che è andato a contrastare la calura estiva. Gli orticelli e gli appezzamenti di terreno più grandi si sono riempiti di pomodori e pomodorini, singoli e a grappoli, protagonisti delle fresche cene estive, in cui il pane e pomodoro, la fresella, ma anche lo spaghetto col pomodorino appena scottato sono stati simbolo di pasti semplici e frugali, nutrienti e genuini, a pieno sostegno della valente dieta mediterranea.
Un’antica ricetta beneventana, tratta dal blog Benevento, c’era una volta, ricorda che in passato, laddove fosse presente, la sera veniva messo a riscaldare il forno a legna per i tegami. Una volta chiuso il forno, questi vi restavano dentro per l’intera notte, in modo da raggiungere una ideale temperatura il giorno dopo, quando era necessario adoperarli. L’indomani, in un tegame con una sorta di setaccio, i pomodori venivano lavorati a mano, e avveniva la separazione dei semi e della scorza dalla polpa. Il sugo concentrato si spandeva su tavole di legno, veniva salato e, in seguito, si metteva al sole per diversi giorni, fino a che non si seccava. Quando la conserva era pronta, tutto veniva raccolto in un unico recipiente, che a Benevento chiamavano cotturo, dapprima unto con olio rigorosamente d’oliva. Della conserva bastavano circa cinque cucchiai per poter preparare un pranzo per la famiglia intera. Si preparava un soffritto e dell’acqua serviva ad allungare il sugo.

La passata fatta in casa.
Foto di Adelina Di Crosta

Quello della passata di pomodori fatta in casa è un rito antico che si ripete, anno dopo anno, in tutte le famiglie del Sud, e in particolar modo del nostro Sannio. Si tratta di una di quelle tradizioni che resistono al tempo che scorre e alle nuove tecnologie. Ogni famiglia ha la propria ricetta, tramandata di generazione in generazione, che spesso viene emulata anche dai vicini di casa quando bussano alla porta accanto per dare una mano. La passata, per chi ne ha la possibilità non si compra al supermercato, ma si produce in gran quantità, anche quintali, in modo che per tutto l’inverno possa bastare.
La giornata comincia alle prime luci dell’alba, per non andare incontro alle ore più calde, e ogni membro della famiglia ha il suo ruolo da eseguire. E, proprio come ai tempi delle nostre nonne, eccole lì, le bacinelle di plastica, blu o bianca, i tappi, la macchinetta a manovella.
E il basilico, uno dei tanti dilemmi, va aggiunto fresco oppure cotto? Ecco, questo è sempre stato un piccolo motivo di discordia anche tra componenti della stessa famiglia. Una fatica ripagata, già nei giorni successivi, da quell’odore caratteristico di buon sugo fatto con le proprie mani, odore della propria terra, delle proprie tradizioni, delle proprie radici. E riuscite a ricordare quando esplodevano le bottiglie? Accadeva quando non venivano sistemate perfettamente, oppure quando si riempivano fino all’orlo, magari per mano di bambini più inesperti e frettolosi, con la grande voglia di tornare a giocare. Quella, dalle nostre nonne, era considerata una vera e propria disgrazia, segno di cattivo presagio che da quel momento sarebbe dovuto capitare. Una preparazione semplice e impegnativa, per i tempi lunghi di cottura, lenti ma anche rilassanti. Il tempo che scorre lento, come una volta, che ogni anno, ancora oggi, proviamo a tenere con noi, quando armeggiamo con pomodori freschi e bacinelle o quando vediamo qualcuno farlo, rievocando i bei tempi andati.









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