Ormai fa freddo e, a volte, questo lockdown ci pesa di meno. Sarà perché è più elastico, sarà perché preferiamo il tepore delle nostre case, ma pian piano sta trascorrendo. Certo, vorremmo incontrare amici e parenti, ci piacerebbe portare a giocare i nostri bambini al parco, ma dobbiamo pur accontentarci di quello che si può. E dobbiamo anche accontentarci di leggere piuttosto che visitare e girare per i nostri piccoli borghi. Sapete che Faicchio ha un’anima veramente classica, che ci riporta nel cuore delle attività degli antichi Romani? Un’anima calda come il camino che mi scoppietta di fronte, e che mi ispira.
A Faicchio, nei pressi delle sorgenti dell’acquedotto romano, affacciato sul vallone Frunna, sorge il piccolo abitato di Fontanavecchia. Proprio qui, ai piedi della Chiesa di San Sancio, vi è una grande fontana con abbeveratoi, segno tipico di una zona che si trova lungo una strada di passaggio, magari territorio di andata e ritorno di pastori, o di lavoratori che andavano e tornavano. Siamo sotto il ponte da cui si accede all’attuale contrada di Fontanavecchia, ove la fontana era già vecchia quando i primi abitanti vi si insediarono: ecco il perché del nome che fu dato all’agglomerato di case, e che si conserva tutt’ora. Nei pressi della Chiesa di S.Maria di Costantinopoli è visibile l’ingresso di un acquedotto ipogeo risalente intorno al III sec. a.C., che ancora oggi si può percorrere per una lunghezza di circa 1160 metri, scavato alle falde del Monte Monaco di Gioia e che viaggia al di sotto del centro storico di Faicchio. Esso fu intercettato, esplorato e rilevato, tra il 1993 e il 1994, dal Gruppo Speleologico del Matese. È stata avanzata l’ipotesi che si trattasse addirittura di una magnificente opera preromana, tesi sostenuta anche dalla tipologia costruttiva dell’acquedotto che non presenta caratteristiche tipicamente o esclusivamente romane. L’acquedotto raggiungeva il centro di Faicchio ed era utilizzato sia per dissetare la popolazione, sia per l’irrigazione e rappresenta l’unico esempio tra quelli dell’epoca ancora oggi funzionante, che fino a pochi anni fa alimentava tre fontane pubbliche.
Poco lontano, a circa 13 metri dal livello del corso del torrente Titerno, troviamo un antico ponte intitolato al condottiero e dittatore romano Quinto Fabio Massimo, noto come il Temporeggiatore, costruito per arrestare l’avanzata di Annibale durante la Seconda guerra punica, e per portare avanti la sua tattica militare preferita, struttura frutto di una serie molteplice di interventi edificatori e di adattamento operati dai Romani su una preesistente struttura, forse sannita. Il ponte dei Sanniti doveva essere originariamente costituito da due travi portanti e consentiva il collegamento della fortezza del Monte Acero con la corrispondente fortificazione del Monte Erbano, facilitando le comunicazioni tra gli abitanti della Valle Telesina e quelli del Matese. Il ponte viene ricordato anche come Ponte dell’Occhio, discendente dal termine dialettale locale nocchio, derivante dal latino opulum che vuol dire acero campestre. Fu costruito più di 2.000 anni fa, al termine del lungo conflitto che oppose i Sanniti ai Romani e la sua struttura, per quanto a prima vista sembri essere molto sottile e fragile, è in realtà molto robusta grazie alla solidità delle sue basi.
In copertina, la Vecchia Fontana.
Giornalista