Accadde oggi: 8 ottobre 1967, la cattura di Ernesto “Che” Guevara in Bolivia

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È stato il celebre Diario in Bolivia che ci ha raccontato degli ultimi giorni di vita del Che. Era l’8 ottobre 1967 e già da parecchi giorni la colonna dell’Esercito di Liberazione Nazionale Boliviano, guidata da Ernesto “Che” Guevara, era circondata nella zona montuosa del quebrada del Yuro. Dopo una feroce battaglia con l’esercito boliviano venne catturato dopo essere stato ferito. Fu tenuto prigioniero fino alla mattina dopo, il 9 ottobre, ucciso da diversi colpi di pistola dal soldato Mario Teràn, scelto a caso fra la truppa per fare da giustiziere. La sua ultima notte nella baracca di Higueras fu terribile: il corpo sanguinante da molte ferite, non un sedativo, non un’iniezione che potesse calmargli il dolore, ma solo una coperta e sotto la coperta la nuda terra. Dopo l’esecuzione, il Che fu fotografato ancora con gli occhi aperti: una foto che fece il giro del mondo e che entrò nella leggenda. La figura di Che Guevara, anche a causa della sua tragica morte, è diventatata ed è tutt’ora una parte importante dell’immaginario di rivolta e rivoluzione in Sud America e in tutto il mondo. La guerriglia in Bolivia e il tentativo di innescare un processo rivoluzionario da parte sua non fu un successo fin dal principio.

“Tutti noi che conosciamo il Che sappiamo che non c’è modo di catturarlo vivo, a meno che non sia incosciente, a meno che non sia messo completamente fuori combattimento da qualche ferita, a meno che non gli si rompa l’arma, infine a meno che non abbia nessuna possibilità di evitare di finire prigioniero togliendosi la vita […]. Arrivati a questo punto la discussione o i dubbi che possono sussistere non si riferiscono più al fatto della morte in sé […] quanto al modo in cui la morte è avvenuta”. Fu così l’allora primo ministro cubano Fidel Castro diede, il 15 ottobre, la conferma della morte del rivoluzionario e compagno di lotta. Fu con queste parole che il líder máximo raccontò la fine dell’eroe della rivoluzione cubana. Le stesse che, insieme a numerosi altri documenti, sono riportate nel libro firmato dallo stesso Castro, Io e il Che (Mondadori). Il discorso che pronunciò alla televisione di Stato poneva fine al rincorrersi di voci. Sull’origine di quel soprannome Fidel scrisse: “All’inizio era Ernesto. Da argentino aveva l’abitudine di rivolgersi agli altri con la locuzione ‘che’, e così iniziammo a chiamarlo noi cubani”. I suoi scritti sulla guerra di guerriglia (tra cui anche il diario boliviano) sono delle pietre miliari per la tattica militare, e ancora oggi sono fra i testi piùimportanti per capire il senso e i meccanismi della guerriglia come strumento politico.









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