Il 5 maggio, la morte di Napoleone Bonaparte di manzoniana memoria

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Un tumore allo stomaco, come accertato dall’autopsia, fermò uno degli uomini più potenti al mondo. Sull’isola di Sant’Elena, dove si trovava in esilio, Napoleone soffriva di terribili dolori, già dal 17 marzo precedente. Un posto lontano e sconosciuto, dove l’ormai ex imperatore era praticamente costretto a scontare un ergastolo e molta sofferenza fisica. Da poco più di un mese era allettato, debole, vomitava regolarmente e di tanto in tanto veniva alimentato. Il 3 maggio le sue condizioni degenerarono, i sintomi divennero più allarmanti, fino a che, nella notte tra il 4 e il 5 maggio 1821, entrò in uno stato comatoso. Era appena cosciente, e spirò che non era ancora 52enne.

L’indomani il governatore dell’isola, sir Hudson Lowe, si recò a constatarne personalmente la morte, dichiarando al suo entourage: “Ah, bene, signori, il più grande nemico dell’Inghilterra ora è qui; ma tutto gli è perdonato. Alla morte di un uomo così grande, bisogna solo provare un profondo dolore e un profondo rispetto”. Prima di morire, Napoleone riuscì a pronunciare poche, confuse parole: ” Francia, esercito – capo dell’esercito – Giuseppina“. Egli chiese di essere seppellito sulle sponde della Senna, eppure venne seppellito a Sant’Elena, presso Sane Valley, come stabilito già l’anno prima dal governo inglese. Il governatore Lowe e i suoi uomini gli tributarono gli onori riservati a un generale.

La data del 5 maggio viene da noi tutti associata automaticamente alla morte di Napoleone. Memoria scolastica di letture e riletture dei libri di storia? Credo di no! Piuttosto una memoria poetica, dovuta alla grande ode composta in soli tre giorni da Alessandro Manzoni, il 5 Maggio, all’indomani della morte di Napoleone Bonaparte. Quanti di noi hanno dovuto imparare a memoria righe e righe di gesta di questo eroe, in cui il grande autore de I promessi Sposi ha narrato battaglie e imprese dell’ex imperatore, ma anche fragilità umana e la misericordia di Dio? Manzoni aveva conosciuto personalmente Napoleone, era rimasto folgorato dal suo sguardo magnetico. E quella poesia, caratterizzata da metafore e repentini cambi di scena, amore e odio di ogni studente costretto a impararne i versi in vista di una interrogazione scolastica, è un vero classico della nostra letteratura e della memoria storica del nostro passato. Un’opera che, nonostante la censura austriaca, circolò con grande successo e fu poi tradotta in diverse lingue.

Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita
La terra al nunzio sta,

Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Nè sa quando una simile
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.

Lui folgorante in solio
Vide il mio genio e tacque;
Quando, con vece assidua,
Cadde, risorse e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha:

Vergin di servo encomio
E di codardo oltraggio,
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio:
E scioglie all’urna un cantico
Che forse non morrà.

Dall’Alpi alle Piramidi,
Dal Manzanarre al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
Dall’uno all’altro mar.

Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno;
E il giunge, e tiene un premio
Ch’era follia sperar;

Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,

La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.

Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armato,
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.

E sparve, e i dì nell’ozio
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.

Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa,
L’onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere
Prode remote invan;

Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
Narrar se stesso imprese,
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito
Morir d’un giorno inerte,
Chinati i rai fulminei,
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli,
E il lampo de’ manipoli,
E l’onda dei cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.

Ahi! forse a tanto strazio
Cadde lo spirto anelo,
E disperò: ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò;

E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desidéri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre
La gloria che passò.

Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
Chè più superba altezza
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.









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