Immagini dal Sannio: il complesso monumentale di Santa Sofia di Benevento

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Oggi parliamo di uno dei simboli più importanti e affascinanti della bella città di Benevento, la Chiesa di Santa Sofia, memoria di grandi pagine di storia. Fu centro di culto e di potere, era la rappresentazione della presenza dei Longobardi, nel Sannio e in Italia, tanto da diventarne il centro spirituale. Una vera e propria gemma che rappresenta lo splendore del capoluogo sannita tanto che, dal 25 giugno 2011, figura nel Patrimonio Mondiale dell’Unesco insieme agli altri sei siti (Brescia, Cividale del Friuli, Castelseprio, Spoleto, Campello sul Clitumno e Monte Sant’Angelo) che compongono il percorso de I Longobardi in Italia, i luoghi del potere, densi di testimonianze architettoniche, pittoriche e scultoree dell’arte longobarda. Un capolavoro nel cuore della splendida città-gioiello sannita che venne edificata nel 760 d.C. e consacrata nel 774. Ispirata alla Cappella liutprandea (730-740 d.C. circa) del Palazzo Reale di Pavia, rappresenta una delle più importanti testimonianze architettoniche della Longobardia Minor, fondata dal duca Gisulfo II e completata da Arechi II, genero del Re Desiderio, non appena divenne Duca di Benevento, che aveva pensato di destinare l’abbazia annessa alla Chiesa alla fondazione di un monastero femminile, posto sotto la guida e protezione di sua sorella Gariperga, dell’autorità religiosa e politica di Cassino e di San Benedetto.

Si tratta di un tempio molto raccolto, nulla di eclatante, con pianta circolare, che non supera i ventiquattro metri di diametro. Al centro troviamo sei colonne, che sarebbero state prelevate dal tempio di Iside, che sostengono una cupola e formano un esagono che, con ogni probabilità, era la forma della pianta originale della chiesa gravemente danneggiata dai terremoti del 1688 e del 1702, e poi ricostruita con criteri più fedeli ai gusti dell’epoca che all’originale e secondo il volere del cardinale Orsini di Benevento, poi divenuto papa Benedetto XIII. Le forme originarie furono riportate alla luce nel restauro del 1951. Fu costruita vicino a un’abbazia benedettina e Arechi II vi annesse una comunità di suore, anch’esse benedettine, incorporandola al Cenobio preesistente, intitolando il tutto alla Santa Sofia, cioè alla Santa Sapienza, a somiglianza del più famoso tempio giustinianeo di Costantinopoli. La facciata principale della Chiesa affaccia in Piazza Matteotti e, a partire da un restauro settecentesco, presenta particolarissimi spioventi ricurvi che le conferiscono, nella sua apparente semplicità, un tocco di assoluta originalità. Sulla facciata, quasi completamente monocromatica, spicca un affascinante portale romanico. Dell’antica costruzione resta il bassorilievo del XIII secolo che è oggi collocato nella lunetta del suddetto portale. Imbattersi nel complesso monumentale vuol dire imbattersi in un vero e proprio gioiello dell’architettura sacra italiana: oltre alla chiesa e all’ex monastero, con un bel chiostro, troviamo il campanile, antistante la piazza, e la fontana al centro di tutta l’area. Originariamente la chiesa doveva essere completamente affrescata. Lo dimostrano i frammenti tuttora visibili.

Oltre che per la sua importante chiesa, ebbe particolare importanza anche il suo Scriptorium dove si usò la “scrittura beneventana” divenuta famosa nel mondo. Lo Scriptorium di Santa Sofia elaborò anche la famosa “lettera beneventana”, ossia la scrittura beneventana, derivata dai caratteri longobardi e utilizzata in codici e documenti, fino a tutto il XIII secolo, in quasi tutte le regioni del Mezzogiorno. Il monastero annesso alla chiesa attuale è stato costruito tra il 1142 e il 1176 dall’abate Giovanni IV, in parte con frammenti di quello precedente dell’VIII secolo, distrutto dal terremoto del 986. Il suo chiostro è certamente la sua più importante caratteristica, con una struttura romanico-campana arricchita da raffinato gusto arabo. Ha una pianta quadrangolare e, al centro del giardino, un capitello incavato funge da pozzo. Le aperture del chiostro sono adornate da 47 colonne di granito, calcare e alabastro, testimonianza dell’unicità creativa dell’opera. I capitelli e i pulvini sono elaboratissimi, multisfaccettati, raffigurati dai soggetti più disparati: fogliame, allegorie, profili di figure umane e di animale, rappresentate nei momenti di maggiore intensità e vitalità. L’ex monastero è ora sede Museo del Sannio, insieme alla Rocca dei Rettori, possedente una raccolta di reperti archeologici di grande spessore, tra i quali molti resti dell’antico tempio di Iside, come uno dei due obelischi, armi, stampe, monete e una pinacoteca con quadri che hanno una datazione dal Cinquecento al Settecento.









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