Immagini dal Sannio: il tesoro sannitico di Pietrabbondante

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In Molise, nei pressi del tratturo Celano-Foggia, incastonata tra le Morge locali e sormontata dal Monte Saraceno, o Caraceno, sorge Pietrabbondante, in provincia di Isernia, in mezzo a una natura incontaminata tra le alture e le distese pianeggianti del Molise. Il nome del borgo deriva dalla gran quantità di rocce disseminate in tutto il territorio e chi passeggia tra le vie del borgo, si immerge in pieno nella sua ricca e importante storia, nel suo illustre passato di secoli e secoli fa. Studi e ritrovamenti recenti, fanno derivare il nome anche dal culto della dea “Ops consiva” o dea dell’abbondanza, praticato nel portico del Tempio.

Già il suo centro storico conserva intatte le tipologie abitative di origine medievale, ossia edifici costruiti con i materiali provenienti dal vicino sito archeologico. Il simbolo di questo illustre passato è una statua bronzea alta circa due metri innalzata nella Piazza Vittorio Veneto, realizzata nel 1922 dallo scultore Guastalla e raffigurante un guerriero sannita. Furono proprio i Sanniti, infatti, a edificare sul monte Saraceno il teatro-tempio, costruito a partire dalla fine del II secolo a.C., destinato a luogo di culto e alle attività istituzionali anche se il paesino ha origini precedenti, come dimostrato dalla necropoli, sempre appartenente alla civiltà sannitica, datata V sec. a.C.. Sono poche le notizie storiche a disposizione che la menzionano come Colonia Romana. In epoca feudale, fu capoluogo delle trentaquattro Contee che formavano il ducato di Benevento e nell’XI secolo fu uno dei castelli principali della Terra Borellense, il vasto feudo della famiglia di origini franche dei Borrello posto tra l’Abruzzo meridionale e il Molise settentrionale. Il feudo appartenne a Roberto di Cornay, alla famiglia Carafa, a Guglielmo d’Alemagna, al Cantelmo, ai Galluccio, i De Raho, i Marchesano e i D’Andrea che furono gli ultimi proprietari. Fino al 1807 ha fatto parte dell’Abruzzo Citeriore, insieme ad Agnone, Cantalupo e Belmonte del Sannio.

Lo stemma del comune ha origini antichissime e consiste nello scudo sannitico nella cui parte superiore, azzurra, sono poste le tre Morge ai cui piedi sorge Pietrabbondante, ciascuna sormontata da una spiga di grano, simbolo di abbondanza, mentre nella parte centrale, bianca, figurano le lettere B NTE. La parte inferiore, grigia, porta una superficie di acque leggermente increspata, una sorta di onda. La sua lettura è una sorta di rebus che risolto dà appunto il nome di Pietrabbondante.

Il Santuario Italico di Pietrabbondante rappresenta la testimonianza architettonica più importante della religiosità dei Sanniti Pentri. Il sito, in località Calcatello, è tutto incentrato nel tempio B-teatro, con uno schema tipico dell’età ellenistica mediato dall’ambiente campano e latino. Il complesso teatro-tempio, costruito a partire dalla metà del II secolo a.C., si ispira ai modelli ellenistici diffusi in area campana, sia per lo schema del teatro, che ricorda quello di Sarno e il teatro piccolo di Pompei, sia per la decorazione architettonica del tempio, il cui podio ricalca il modello di quello di Capua. Il teatro era parte integrante del santuario ed era delimitato da un poderoso muro in opera poligonale, edificato grazie all’intervento dello stato sannitico e dei suoi magistrati con sede a Bovianum. La cavea è completamente in pietra con il podio alla base di un colonnato greco e sedili anatomici con la spalliera lievemente ripiegata all’indietro, ciascuno ricavato da un singolo blocco di pietra, e i braccioli che rappresentano delle zampe di leone alate. Il complesso conserva le caratteristiche dell’architettura templare italica, difatti è posto su un podio con una gradinata centrale di accesso, e su tre lati è circondato da un corridoio. Gli ultimi scavi hanno indagato l’area a sud-ovest del complesso monumentale teatro-tempio; sono stati messi in luce altri edifici connessi all’area sacra, fortemente scenografica e unica, che si colloca sul versante meridionale di Monte Saraceno a circa mille metri di altitudine. Salire qui vuol dire immergersi in una visuale sulla Valle del Trigno e sui paesi arroccati lungo il suo percorso. Tra gli edifici dell’area monumentale, il teatro è quello meglio conservato.

Gli scavi nell’area iniziarono da parte del governo borbonico nel 1857, e gli oggetti ritrovati confluirono nelle raccolte dell’attuale Museo Archeologico Nazionale di Napoli, come buona parte del materiale relativo a questi scavi. Si tratta di numerose iscrizioni in lingua osca, su pietra calcarea e sono prevalentemente testi di carattere ufficiale riguardanti gli aspetti burocratici degli interventi di costruzione e sistemazione del monumento, oltre ad armi, tra cui elmi e scrinieri di elevata fattura. In tutta l’area del santuario sono stati rinvenuti frammenti di materiale la cui ricostruzione non è molto sicura, probabilmente facenti parte della decorazione del frontone del tempio, ma anche terrecotte architettoniche, resti di tegole e coppi, lastre di rivestimento. Si tratta di pezzi sporadici che compaiono un po’ ovunque, intorno al teatro, nei porticati e intorno al tempio minore. In seguito alla fine della Seconda Guerra Punica, dopo il 202 a.C., venne costruito il tempio A su una terrazza ricavata artificialmente sul pendìo naturale. Vicino vi sono delle tabernae, botteghe di epoca romana che affacciavano su un lungo porticato scandito da colonne.

Nel 2002 è stata scoperta la Domus publica sul versante occidentale del complesso tempio B-teatro, residenza dalla funzione pubblica e sacrale, sia perché comunicava direttamente con l’area del tempio B, sia perché il portico annesso era utilizzato per lo svolgimento di attività religiose e per il deposito di offerte votive da parte dei praticanti i culti, che venivano conservati anche nell’erario e nella piccola stoà edificati nella fine del III secolo a.C., periodo in cui avvenne anche la costruzione del tempio ionico. Il santuario aveva un importante ruolo politico per la comunità di Sanniti, con un forte legame con l’esercito sin dai periodi più antichi, come testimoniato proprio dalla grande presenza di armi ritrovate e solo nella seconda metà del IV secolo a.C. iniziò la frequentazione del luogo di culto in cui, secondo il racconto di Tito Livio, si svolse il giuramento di dedizione fino alla morte dei componenti della legio linteata, un corpo scelto dell’esercito sannitico. Theodor Mommsen ipotizzò che Pietrabbondante dovesse essere l’antica Bovianum Vetus di cui parlava Plinio il Vecchio mentre secondo Raffaele Garrucci gli scavi riconducevano alla vecchia Aquilonia. È qui secondo gli storici, infatti, che si svolse il rito del giuramento prima della grande battaglia di Aquilonia contro i Romani, nel 293 a.C.

Sulla sommità del monte Saraceno, a circa 1212 mt di altitudine s.l.m., vi è una rocca fortificata da collegarsi all’intero sistema di strutture difensive costruite dai Sanniti nel corso del IV secolo a.C. nel Sannio interno. Pietrabbondante era difesa da massicce mura in opera poligonale e si collegava con analoghe opere difensive poste più a valle e visibili ancora oggi, che avevano lo scopo di controllare il percorso che costeggia il monte Saraceno, raggiungendo il santuario in località Calcatello. Per realizzare la fortificazione si è ricorso a una tecnica costruttiva molto rozza, con grossi blocchi di pietra calcarea di dimensioni diverse e poco lavorati. Il materiale calcareo è frutto delle estrazioni dalla sommità dell’altura. In base alla tecnica costruttiva, la fortificazione potrebbe avvicinarsi agli altri complessi della Marsica e del Sannio risalenti al periodo tra il VI e la fine del IV secolo a.C..

A circa un km dall’area di Calcatello, in località Troccola, è stata riportata alla luce, nel 1973, una piccola necropoli di cui sono si conoscono tre sepolture di epoche diverse, comprese tra il V ed il III secolo a.C. Le tre tombe sono del tipo a fossa con coperture di tegole e di lastre di calcare. Gli inumati giacciono supini, con braccia e gambe distese, memtre in un caso gli arti sono leggermente flessi. Si tratta di due maschi adulti e un bambino. I corredi funerari sono poveri di oggetti di ceramica come vasellame, coppette e brocche ma sono ricchi di oggetti metallici, come cinturoni, pettorali, cuspidi, e nella tomba del bambino sono presenti oggetti di bronzo. Questo lascia supporre che la comunità fosse abbastanza fiorente, in cui le classi sociali più elevate avevano buone disponibilità economiche. Molto probabilmente l’attività della necropoli si estese dal V al III secolo a.C. per tutto il periodo di vita del santuario.

A circa 400 metri dall’area del teatro, in località Padolera, posto su un pendio leggermente elevato, è stato rinvenuto il mausoleo sepolcrale della gens Socellia. La vita del santuario decadde precocemente probabilmente a causa dell’isolamento della sua posizione così lontana dalle grandi vie di comunicazione. Per questo motivo, nella zona si sviluppò un’economia di tipo agricolo – pastorale. I pezzi rittovati sono ventinove e presumibilmente si trattava di un grande edificio costruito in pietra locale, costituito da pietra locale e blocchi di calcare lavorato. Le pareti del piano inferiore erano decorate da lesene con capitelli corinzi, con le caratteristiche foglie di acanto e, tra una lesena e l’altra, vi erano due iscrizioni che ricordavano Caius Socellius, il personaggio che prese l’iniziativa di costruire il monumento funerario per sé e per altri quattro membri defunti della propria famiglia. È recente il rinvenimento, non lontano dal santuario, di una statua femminile di stile funerario, con una colomba nella mano sinistra che simboleggia l’anima libera in volo verso il cielo. Molto valida l’ipotesi che esistessero ville rustiche nelle campagne adiacenti l’area monumentale non ancora esplorate. La stessa famiglia dei Socellii ci è nota anche da altre fonti, la ritroviamo, infatti, in un’altra iscrizione sepolcrale rinvenuta nell’ambito del territorio del municipio romano di Terventum, oggi Trivento, presso il santuario della Madonna di Canneto.









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