Immagini dal Sannio: il torrone e la cupedia di Benevento e il croccantino del Fortore

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La cupedia, foto di copertina d’archivio

Quando si tratta di Natale, ogni regione, ogni provincia, ma anche ogni città, paese o borgo, ha la sua eccellenza. E come sempre, il Sannio non è da meno. Benevento, prezioso e storico gioiellino sannita, vanta molte tradizioni legate al suo lontano passato e alle leggende che riecheggiano ancora nella città. Ma non si tratta solo delle streghe. Uno degli storici protagonisti culinari del capoluogo sannita è il progenitore del torrone, la cupedia, conosciuta già al tempo dei Romani, la cui paternità viene attribuita addirittura ai Sanniti, almeno stando ad alcuni scritti di Tito Livio. Marco Valerio Marziale, celebre poeta latino, parlò della Cupedia come uno dei cinque prodotti rappresentativi di Benevento nel I secolo. Benevento era ed è conosciuta anche come la città delle cinque C, ossia Carduus et cepae, cardone e cipolle, Celebrata, la cervellata, la Cupedia, la cupeta e Chordae, le corde. Il venditore ambulante di Cupedia veniva chiamato “cupetaro”.

La cupedia classica è un composto a base di miele, albume d’uovo, mandorle o nocciole, amalgamati tra loro e cotti a bagnomaria mentre il termine “torrone” deriva dal latino torreo, verbo che significa abbrustolire, con riferimento alla tostatura delle nocciole e delle mandorle (da cui il termine torrefazione). Molti studiosi attribuiscono al torrone origini arabe e infatti furono loro a portare questo dolce lungo le coste del Mediterraneo in particolare in Spagna e in Italia. Eppure una leggenda tramandata oralmente fa legare la nascita della cupedia proprio ai Sanniti. Sembra che, dopo l’umiliazione dell’esercito romano presso le Forche Caudine, gli epici vincitori abbiano inventato il dolce proprio per consolare i vinti. Di certo, quando si diffuse il torrone, a Benevento la cupeta era di casa da almeno un millennio ma questi ne era una versione più raffinata, ricoperta da naspro o anche da granella di zucchero e si diffuse nel XVII secolo in tre varietà: il Perfetto amore, costituito da miele, bianco d’uova e nocciola e ricoperto da un naspro di cioccolato, limone o caffè; l’Ingranito, che aveva la stessa base del Perfetto amore ma con un arricchimento di confetti cannellini ricoperti di zucchero, l’ingranito appunto, e il Torrone del Papa, composto da zucchero liquefatto, pinoli e frutta sciroppata, il cui nome probabilmente deriva dalla sua eccezionale gustosità che lo fa essere degno della bocca di un papa. La produzione del torrone si diffuse in tutta la provincia di Benevento con il sorgere continuo di numerosi centri produttivi, per esempio le cittadine di Santa Croce del Sannio e Montefalcone di Val Fortore.

La fama del torrone di Benevento si diffuse in particolar modo nel XVII secolo, dato che in occasione delle feste natalizie veniva mandato fino a Roma, come dono di Natale a prelati e ad alte cariche della capitale. Tra questi, appunto, il Torrone del Papa. Con i Borboni, nel 1800 la cupeta beneventana fu molto valorizzata, diventando prodotto natalizio per eccellenza e dando avvio a una lunga tradizione. Nella metà dell’Ottocento, comparve il Torrone della Regina, creato di proposito per Ferdinando I di Borbone, apprezzato da tutti, a prescindere dal ceto sociale. Agli inizi del Novecento si assistette a un incremento della produzione con il sorgere di numerose aziende e Benevento venne conosciuta, anche a livello internazionale, per i suoi prodotti dolciari. Fra tutti i torroni lì prodotti, si affermò il Torrone Strega che trae il suo nome dall’omonimo liquore con cui è aromatizzato. Alla ricetta originaria che prevedeva miele, albume e mandorle o nocciole, negli ultimi decenni si sono aggiunte diverse varianti al caffè, al cioccolato, frutta e agrumi. Può avere una consistenza morbida o dura, può essere bianco o al cioccolato, ma l’unica regola che non si deve mai infrangere è che possegga queste caratteristiche fondamentali: la dolcezza, l’asciuttezza, la tenerezza o durezza e la friabilità.

La tostatura del croccantino, foto tratta da petrillotorroncini.it

Nel 1891 nacque a San Marco dei Cavoti una delle varianti più conosciute del torrone, il croccantino costituito da zucchero, mandorle e nocciole tritate e ricoperto da cioccolato fondente. San Marco dei Cavoti è un piccolo centro agricolo dell’Appennino sannita, in provincia di Benevento, nell’alto Fortore, rinomato per questo prodotto che a Natale viene celebrato ad alto livello ma che comunque viene consumato e apprezzato durante tutto l’anno. Era la fine del XIX secolo e tra i giovani abitanti sammarchesi c’era il Cavalier Innocenzo Borrillo che, trasferitosi a Napoli, trovò impiego in svariate pasticcerie. Nel 1891, quando fece ritorno nel suo paesino del Beneventano e, forte dell’apprendistato effettuato presso le varie pasticcerie dove riuscì a distinguersi per la sua creatività, creò il suo delizioso torrone Bacio, che nulla ha a che vedere con il famoso cioccolatino della Perugina ma anzi lo ha addirittura preceduto, così battezzato perché, a suo dire, “mangiare torroni è come essere baciati da un angelo”. Era una barretta croccante in cui amalgamò mandorle, nocciole tostate e zucchero, con rivestimento di naspro. Nel 1926, Saverio Serio, figlio d’arte, diede vita al Preferito, altra variante del croccantino. Solo negli anni Sessanta, la moglie Mariannina accettò la proposta di un amico di ricoprire i croccantini di cioccolato, come oggi noi lo conosciamo. Questo torroncino deve il suo successo oltre che alla qualità, anche alla pezzatura, infatti ognuno, che pesa circa quindici grammi, viene incartato singolarmente. Oggi sono diversi i lavoratori che producono croccantini e ognuno di essi custodisce gelosamente le proprie ricette che la maggior parte delle volte vengono tramandate da generazioni e si tratta di vere e proprie segreti di famiglia.

La cupedia. Gli ingredienti base per la realizzazione della cupeta sono pochi e semplici, ossia mandorle sgusciate e pelate, zucchero e miele anche se alcune varianti aggiungono altri elementi, come il sesamo, la farina o il vino cotto, o l’aroma di vaniglia. L’aspetto finale della cupeta deve essere quello di una stecca di mandorle immerse nel caramello solidificato, quindi bisogna affilare i denti! La cupeta può essere nera, bianca o macinata e la differenza sta nel fatto che la prima è realizzata con le mandorle ancora coperte dalla loro buccia, la seconda invece con mandorle spellate, e la terza infine con le mandorle pelate e tritate. Per cucinare la cupedia si deve usare il polsonetto, un tipo particolare di casseruola in rame di forma semisferica, con il manico di legno, che in pasticceria viene usata proprio per cuocere il croccante, ma anche altri dolci come ad esempio lo zabaione o creme. All’interno vi si versa lo zucchero, che deve essere allungato con un po’ di acqua affinché si sciolga in uno sciroppo piuttosto denso, si pone sul fuoco a fiamma viva, finché lo zucchero non comincia a caramellare, assumendo un bel colore ambrato. In seguito si versano le mandorle, intere o tritate, in un quantitativo più o meno simile a quello dello zucchero impiegato e si continua a tenere sul fuoco finché lo zucchero non fa più schiuma, ma appare limpido, e il contenuto del polsonetto può essere versato su un ripiano di marmo ben unto di olio. Con una spatola si lavora il composto prima che solidifichi, dandogli la forma di una stecca rettangolare. A questo punto la cupedia è pronta per essere mangiata, tagliata in panetti che poi si confezionano e si vendono. Altre varianti possibili vedono l’utilizzo di pistacchi invece che mandorle, ma per tutte il vino ideale per accompagnarne il consumo è il passito.









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