Immagini dal Sannio: la padellaccia, la ricetta di maiale tutta sannita

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Foto di copertina tratta dal web

A Benevento la chiamano spesso A’ Tiana, ma il Sannio la conosce maggiormente come padellaccia, ricetta tradizionale del territorio legata agli antichi rituali dell’uccisione del maiale. E infatti, carne suina e peperoni sono gli ingredienti principali di questo succulento piatto, che già in antichità veniva preparato nei giorni in cui i contadini si riunivano in famiglia per la lavorazione del maiale, quando questo veniva allevato in casa. Siamo forse fuori stagione, per questo racconto, ma è anche vero che la padellaccia è un piatto tipicamente invernale e finché non si assesterà il bel tempo primaverile, è sempre possibile prepararlo e degustarlo. Nulla toglie, però, che possa essere preparato come pasto unico delle più calde serate estive. Un classico senza tempo, legato alla ruralità e agli antichi riruali sanniti, che ha il sapore della festa, della convivialità, della cooperazione tra famiglia e amici. La festa del maiale, che solitamente si svolgeva (e tutt’ora si svolge) nel periodo freddo di fine dicembre e gennaio, in passato era considerato l’inizio di una nuova prosperità nelle modeste case contadine, in cui l’abbondanza era cosa rara, e il sostentamento era perlopiù caratterizzato da cibi poveri ma genuini. Il maiale era la garanzia di avere carne per tutto l’inverno. Le dispense, infatti, venivano riempite di preparati a base suina, in particolare di insaccati, prosciutti appesi in bella vista, salsicce, coppa, bistecche, e carne per la preparazione di svariati primi e secondi piatti. Ogni tipologia di alimento veniva conservato in modo diverso, in base alla finale destinazione d’uso, e sicuramente anche oggi è così. Come si dice? Del maiale non si butta via mai nulla e la padellaccia è la ricetta tipica che testimonia questo modus dicendi.

L’uccisione del maiale, foto tratta dal web

Quando il maiale veniva ammazzato, da un lato c’era sofferenza e amarezza nei confronti della povera bestia, ma la consapevolezza di avere carne per tutto l’inverno investiva tutti di un senso di sicurezza e tranquillità. Vicino agli operai intenti in questa barbara esecuzione c’era sempre un grande calderone pieno di acqua bollente che veniva utilizzata per lavare l’animale e rimuovere le setole. Quella della pulitura del maiale è una operazione molto delicata, che necessita esperienza, pazienza e maestrìa. Una volta lavato, l’animale viene eviscerato per qualche giorno. Ecco che le rifilature, le interiora e le parti meno pregiate, che derivavano dalla macellazione, ricavate dalla macellazione, vengono conservate e cucinate a parte con erbe aromatiche dell’orto e poi soffritte nel grasso che deriva dall’animale stesso, dando vita a un delizioso piatto nutriente e molto gustoso. Di seguito la ricetta per 4 persone tratta da chianellaetrainera.com:

INGREDIENTI: 500 gr di carne di maiale mista (coppa, pancetta, spalla e guanciale), 100 gr di peperoni tondi sott’aceto (le cosiddette papacelle), 200/300 gr patate, olio extravergine di oliva o olio da frittura q.b., sale q.b., peperoncino q.b. 

PROCEDIMENTO: Tagliare la carne di maiale a pezzettoni (circa 3 cm), pelare e tagliare le patate. Lavare per bene i peperoni in modo che scarichino in parte il sapore dell’aceto e tagliali a pezzi grossolani. In una padella con poco olio, friggere i peperoni sott’aceto, scolarli e tenerli da parte. Nello stesso olio dei peperoni, che ne avrà assunto il sapore, friggere la carne fino a cottura (circa 15 o 20 minuti) avendo cura di girare spesso. Nel frattempo, friggere le patate fino a che saranno croccanti e dorate, e scolarle su carta assorbente. Una volta cotta la carne, unire i peperoni e le patate, mescolare facendo rosolare ancora qualche minuto, aggiustare di sale e servire caldo. Per gli amanti del gusto piccante si può aggiungere un po’ di peperoncino. 

Una volta che la carne è cotta e rosolata, può essere servita con la panonta, cioè un insieme di fette di pane dorate nel grasso della padella. Il tutto da gustare con ottimo vino, possibilmente un buon rosso, come un ottimo aglianico beneventano o un buon bicchiere di Camaiola.









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