Immagini dal Sannio: percorrendo il sentiero della Bella Dormiente del Sannio

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La Dormiente del Sannio, foto tratta da sannio.guideslow.it

Il Taburno Camposauro, massiccio originato da due blocchi calcarei dell’Appennino campano, è distante pochi chilometri da Benevento e per mezzo della Valle Telesina, o Valle del Calore, si separa dal Monte Matese mentre la Valle Caudina lo separa dai monti del Partenio. È formato da varie vette, le più alte sono il monte Taburno (1394 m s.l.m.), il Camposauro (1388 m s.l.m.), il monte Alto Rotondi (1305 m s.l.m.), il monte Sant’Angelo (1189 m s.l.m.), il monte Gaudello (1226 m s.l.m. ) e il monte Pentime (1168 m s.l.m.). Queste vette, per la loro disposizione a semicerchio, formano nel mezzo la Valle Vitulanese. Secondo le ipotesi più accreditate, il nome del monte Taburno deriva dal termine osco teba o taba, che vuol dire “montagna” e dalla radice burnus, che dà il nome ai monti Alburni, nel Cilento. Dalla vetta del Taburno, si può godere di un vasto panorama su tutta la Valle Caudina e si riesce a vedere anche la cava del monte Tairano, nei cui pressi si ipotizza sia avvenuto l’episodio della battaglia delle Forche Caudine, nel 321 a.C., tra Romani e Sanniti. Viene chiamato Bella Dormiente del Sannio perché, se ben si guarda il massiccio nel suo profilo da Benevento, sembra rivederne le sembianze di una donna supina, con i piedi verso la Valle Caudina e la testa, formata dal monte Pentime, verso la Valle Telesina. La zona è ricca di acqua. Si ricordano le numerose sorgenti poste alle sue pendici; valga per tutte il ricordo delle sorgenti del Fizzo, localizzate tra i comuni di Bonea e Bucciano che, attraverso il monumentale acquedotto vanvitelliano, alimentano le cascate della Reggia di Caserta. Percorrendo la Dormiente è un sentiero che ha come scopo quello di far conoscere e valorizzare i territori, borghi, centri che fanno da corollario a questo splendido massiccio, ripercorrendo le sue preziose risorse naturalistiche, ma anche la storia e le tradizioni locali. Un sentiero lungo 34 chilometri da Montesarchio arriva a Solopaca, e può essere percorso in auto, in bici, a cavallo, ma anche a piedi, con comode scarpe da ginnastica e su strada asfaltata. E io, in pillole, voglio raccontarvi le principali caratteristiche dei borghi in cui ci si imbatte.

Montesarchio è uno dei più importanti centri commerciali e culturali della zona, sin dalle sue origini, dato che nasceva sulla Via Appia, passaggio obbligato per i locali affari. Viene identificata con Caudium, dove, nel lontano passato, vi fu la resa dell’esercito romano al giogo dei Sanniti nelle rinomate Forche Caudine. La torre è certamente il suo sigillo identitario e Torre si chiama anche la collina su cui si erge l’abitato. Il castello, edificato per fini militari e di ordine pubblico, oggi ospita uno dei più rinomati centri di interessi culturali sanniti: il Museo Archeologico Nazionale del Sannio Caudino. Esso ospita reperti provenienti da tutto il territorio degli antichi Sanniti Caudini, in particolare un prezioso manufatto ritrovato agli inizi degli anni Settanta a Sant’Agata de’ Goti da un contadino. Si tratta del cratere di Assteas, firmato proprio dall’omonimo artista, come testimoniato dall’epigrafe, uno dei più grandi mai rinvenuti, alto 72 cm e largo 60 cm, conservato perfettamente integro, nonostante la sua lunghissima storia. Rappresenta le origini della civiltà minoica, la civiltà più antica della Grecia. In particolare, narra del ratto d’Europa, tanto che il nome ufficiale del cratere sarebbe proprio questo. Europa era una principessa fenicia, proveniente dall’attuale zona Libano, che fu rapita da Zeus, che per l’occasione assunse l’aspetto di un toro bianco, dando alla luce tre figli: Minosse, il futuro Re di Creta, Radamante e Sarpe. Oltre a tale raffigurazione, sul retro è rappresentata un’ulteriore scena mitologica: il dio del vino, Dioniso, seguito da un breve corteo formato da menadi, un sileno e il dio Pan. Montesarchio è presente all’interno dell’itinerario culturale, storico e artistico “I Longobardi e il culto di San Michele Arcangelo”, il cui culto, dalla Puglia garganica, arrivò nel Sannio grazie ai percorsi della transumanza,

Tocco Caudio fu, secondo le fonti, la metropoli dei Sanniti, i quali solevano qui riunirsi per le loro riunioni. Il nucleo più antico, Tocco Vecchio, è un vero e proprio paese fantasma. Esso, infatti, fu completamente abbandonato dopo il violento sisma del 1980 in favore del nuovo abitato in contrada Friuni. Tocco Vecchio è abbarbicato su un antico costone di tufo dalle pareti molto scoscese per morfoselezione a opera delle acque di ruscellamento che ne modellano la forma. Del vecchio borgo si distingue bene l’assetto urbano medievale “a fuso”, cioè attraversato per tutta la lunghezza da un asse viario centrale dal quale si dipartono vicoletti perpendicolari tra loro. Campoli del Monte Taburno, ottima base per le escursioni sul massiccio, denota già dal toponimo la sua natura tipicamente rurale. Campulus, infatti, vuol dire “campo”, “terra coltivata”. Una curiosità: il suo centro storico sorge intorno al Riella, uno sperone roccioso, ed è talmente piccolo che un proverbio comincia così: “Campoli campoluorto na preta, na vigna, l’uorto”. Un centro storico con un solo orto e una sola vigna, dunque, proverbio che rimarca la particolarità del cuore antico. E a proposito di vigne, le eccellenze gastronomiche e colturali del paese sono prevalentemente il vino, l’olio di oliva extravergine e numerosi alberi di frutta, particolarmente ciliegie e mele.

Campoli del Monte Taburno, foto di Stefano Caporaso

Ubicato alle pendici del Monte Camposauro, Cautano si trova in una posizione centrale rispetto all’intera Valle Vitulanese. Furono alcuni abitanti di Caudium, dopo la sconfitta con i Romani, a fondare il paese. Molto bella è la chiesa di Sant’Andrea Apostolo, di origine settecentesca, oltre alla Congrega di San Sebastiano, nella quale è custodita una preziosa e importante tela del pittore napoletano Giuseppe Castellano. Tappeti di fiori riempiono le strade del paese in occasione del Corpus Domini, quando sui balconi vengono stese coperte ricamate, con importanti sete e drappeggi damascati, atte a salutare il passaggio del Santissimo Sacramento. La Passione di Cristo è un evento importante del periodo pasquale: lungo le strade di Cautano, infatti, vengono rappresentati il Ritorno di Gesù a Gerusalemme, nella Domenica delle Palme; l’Ultima Cena con la lavanda dei piedi, durante il Giovedì Santo; la rappresentazione della Via Crucis, durante il Venerdì Santo. Cautano è famoso per i preziosi giacimenti di marmo rosso, caratteristica che lo accomuna a Vitulano. Foglianise ha un caratteristico centro storico dalla particolare conformazione urbanistica di stampo longobardo, con una intricata rete di vicoletti e passaggi. La Festa del grano in onore di San Rocco di Foglianise è certamente nota in ogni dove, nata dall’usanza di implorare Dio il Lunedì in Albis, per intercedere in vista della futura fertilità del grano. Il 16 agosto, inoltre, si ringraziava San Rocco, nel suo giorno commemorativo, per il raccolto con offerte di grano. Una celebrazione dalle caratteristiche uniche in un piccolo paese molto accogliente e generoso, dove una sfilata di carri e un lungo cartellone di spettacoli ed eventi sono all’insegna di questa tradizionale ricorrenza foglianesaria. I celebri carri di grano riproducono una miniatura di monumenti famosi, facciate di cattedrali, strumenti agricoli che riguardano la mietitura, oppure danno vita a immagini di fantasia. Coloro che sono addetti all’intreccio degli steli di grano, rigorosamente a mano e senza l’ausilio di alcun macchinario, realizzano veri e propri capolavori, su un’anima in legno, dando forma a diverse strutture, trame e ricami impagliati. Fino agli anni Settanta del secolo scorso a Foglianise ci sono state fiorenti e redditizie attività, quelle della tessitura e della tintoria, tanto è vero che ancora oggi esiste il Vico Tintori.

Vitulano ospita il Convento della Santissima Annunziata, detto di Sant’Antonio: la tradizione vuole che esso sia stato fondato da San Bernardino da Siena nel 1440. Qui troviamo anche la Badia benedettina di Santa Maria de Grupta: ne rimangono solo dei ruderi, situati nello spacco di montagna tra Vitulano e Solopaca. La signora autunnale della Valle Vitulanese, a cui è legata per storia, tradizioni ed economia, è certamente la castagna. L’Enzeta, la Panarana e la Selvaggia sono le tre tipologie di castagne principali del paese. La prima è quella proprio tipicamente vitulanese, che ha un colore marrone chiaro e rispetto alle altre, una forma più snella e appuntita, con un sapore molto intenso, tanto utilizzata in cucina. La Panarana è più vicina ai tipici marroni mentre la Selvaggia è più piccola, più gustosa ma è anche più difficile da lavorare. Come Cautano, anche qui vi sono rinomati giacimenti di marmo rosso, le cui qualità sono state esaltate dal Vanvitelli nella decorazione parietale dello Scalone reale o della Cappella Palatina della Reggia di Caserta. Si dice che Vanvitelli, molto impegnato a ricercare i materiali più belli e preziosi, si fosse recato sul Monte Camposauro rimanendo allibito di fronte alla bellezza e alle tonalità che regalava quel marmo, al punto da far costruire una strada per trasportarlo velocemente dalle cave fino al cantiere edile della Reggia. Il marmo in questione è stato utilizzato nei migliori monumenti storici di diverse località, come il Teatro San Carlo, la Reggia di Capodimonte, fino ad arrivare all’estero, in Francia, in gran Bretagna, addirittura sulle guglie del Cremlino. Il colore rosso sangue e brillante crea un collegamento con il marmor taenarium, un rosso caratteristico della statuaria antica, circa i soggetti dionisiaci. Il marmo della cava Uria ha delle venature il cui cromatismo spazia dal grigio al rosso e offre un favoloso ventaglio di sfumature, dal bruno scuro fino al lilla, sfumature ancora oggi, sono molto ricercate dagli artisti come il vitulanese Mariano Goglia. Oggi, l’estrazione di questo prezioso materiale continua tramite accurati parametri, nel rispetto dell’ambiente storico, in un sito protetto dove ogni fase della lavorazione è allo stesso tempo antica e tecnologicamente avanzata.

Torrecuso è un gioiello medievale di un incanto sopraffine, affacciato umilmente e a vedetta del Monte Taburno e della Valle del Calore. La sua posizione fa perfettamente comprendere l’origine e la funzione che ha svolto nei secoli passati: Torrecuso, infatti, ha alle sue spalle il monte Pentime, visto come difesa naturale, per la città di Benevento, centro del potente ducato Longobardo, e fu vera torre di guardia, vedetta non solo sulla Valle del Calore attraversata dalla Via Latina, ma anche della Valle Vitulanese. Il centro storico, sviluppatosi in epoca longobarda, è rimasto pressoché intatto: stradine, o rampe, quasi parallele che sboccano in larghi e angoli pittoreschi, tra archi e casette in pietra con scale a giorno, viuzze strette e tortuose che si ritrovano tutte attorno al rinomato Palazzo Cito, dimora dei Cito, feudatari di Torrecuso, sede del primo Museo di Arte contemporanea del vino e della Filiera enogastronomica del Sannio con annessa Scuola del Gusto. di cui un’ala oggi è sede del Municipio. Imponente la costruzione del castrum marchesale, struttura triangolare a tre torri: al suo cospetto si capisce immediatamente che ci si trova in un luogo che si è sviluppato unicamente in funzione della difesa. Un paese agricolo, che eccelle per il nettare rosso, l’Aglianico, forse arrivato grazie ai greci, con il nome Hellenico. Quando arriva il primo sole di marzo, col suo morbido e delicato tepore, sui muri e sui tetti delle case di Torrecuso, tra le aiuole, nei giardini, nelle siepi, sbocciano i fiori più allegri e spensierati, da considerare come l’emblema di questo paese. Sono viole dai petali luccicanti, di un giallo che può abbagliare, profumate lievemente, che sembrano una sottile lamina di foglia oro. Ecco, appunto, la Viola d’oro o Viola di Spagna. Sembra, infatti, che i primi semi di questa pianta siano arrivati a Torrecuso proprio grazie a un soldato spagnolo che era al servizio del Marchese Carlo Andrea Caracciolo. Qualcuno, invece, dice che sia stato lo stesso marchese a portare i semi dalla Spagna, per rendere omaggio al capoluogo del proprio feudo. Un fiore descritto anche da Antonio Mellusi, importante poeta sannita di origini torrecusane.

Vigneti del Taburno, foto di copertina tratta da vinibuoni.it

Paupisi è situato alle pendici del Monte Pentime ed è terra di tradizioni anche gastronomiche, come la Sagra del cecatiello, in cui degustare vino locale come l’Aglianico, la Falanghina e la Coda di Volpe e mangiare piatti tradizionali come cecatielli e padellaccia. I cecatielli sono una pasta fatta rigorosamente a mano con farina di grano, quindi un piatto povero. Vengono preparati estemporaneamente alla cottura e la lavorazione manuale dona alla pasta una caratteristica fragranza. Per tradizione vengono accompagnati da un sugo a base di carne ma si prestano anche ad essere gustati con diversi condimenti. La padellaccia è un piatto tipico che proviene dalla passata usanza della macellazione del maialetto da tutti allevato, nelle masserie e persino nelle case di paese. Un tempo il maiale era l’unico tipo di carne economicamente accessibile, per cui i pezzi migliori venivano destinati alla conservazione e, nella giornata della macellazione, era tradizione cucinare questo caratteristico piatto popolare e contadino prendendo le parti meno nobili, friggendole in olio di oliva e insaporendole con l’accompagnamento di vino, peperoni e patate. Caratteristica del periodo pasquale è la rievocazione in costume della passione e morte di Gesù. Lungo le strade del centro abitato sono allestite le stazioni della Via Crucis in maniera molto essenziale, in modo da sottolineare la drammaticità di gesti e movimenti del particolare evento che si sta rappresentando.

Solopaca ha un toponimo le cui origini non hanno certezza: alcuni pensano che derivi dal latino Sol opacus, ossia paese poco soleggiato, altri invece ritengono che il nome derivi dal latino sub pago, cioè villaggio che è sotto, riferendosi alla sua posizione geografica, per l’appunto sotto il Monte Taburno. Altri studiosi, invece, sposano l’ipotesi che Solopaca deriverebbe da super pagos, cioè villaggio situato in posizione elevata rispetto agli altri della valle. Ha due chiese parrocchiali dedicate a San Martino di Tours e a San Mauro martire. La prima eretta nella località detta proprio Li Santi Martini, con una imponente ed elegante scalinata. La Parrocchia di San Mauro, è ricca di stucchi pregiati, nel cui interno è presente una statua lignea di San Rocco. Di rilevante importanza anche il Santuario della Madonna del Roseto, di origine benedettina, che sorge sul Monte delle Rose, edificata intorno al XII secolo, punto di riferimento visivo di tutta la valle circostante. Ogni anno, il primo lunedì di giugno, i cittadini di Solopaca portano in processione la statua della Madonna del Roseto dal santuario omonimo fino al paese. Su progetto dell’ingegnere napoletano Luigi Giura, il ponte Maria Cristina fu realizzato e completato tra il 1832 e il 1835 e inaugurato alla presenza della Regina Maria Cristina di Savoia e del suo consorte, Ferdinando II di Borbone. A Solopaca è presente una delle più antiche cooperative agricole della Campania, La Cantina di Solopaca che, con i suoi 120 mila ettolitri di vini prodotti, è ai primi posti nella produzione regionale. E dai vigneti di Solopaca si producono eccellenti vini, come il Solopaca DOC, primo vino nel Sannio ad aver ottenuto il riconoscimento di origine controllata (D.O.C.). A Solopaca si svolge una delle più importanti manifestazioni legate al vino, la Festa dell’Uva, che fin dalla sua prima edizione del 1979, si caratterizza per uno scenario unico e suggestivo, con la sua sfilata dei carri preceduta dalle autorità con i gonfaloni dei comuni confinanti, seguiti dal corteo storico di sbandieratori e musicanti. 









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