Immagini dal Sannio: rituali del fuoco e falò di Sant’Antonio Abate

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Antonio Abate è uno dei più illustri eremiti della Chiesa, la cui storia è raccontata da un discepolo, Sant’Atanasio, che contribuì a farne conoscere l’esempio. La festa che lo celebra cade il 17 gennaio, periodo in cui si festeggia anche il ritorno della luce, le giornate si allungano e il sole sorge prima, rispetto ai più brevi giorni dicembrini. Una leggenda narra che il Santo si recò personalmente all’inferno per rubare il fuoco al diavolo. Mentre cercava ogni modo per distrarlo, il suo maialino corse a rubare un tizzone, per portarlo fuori e donarlo agli uomini. Un’altra leggenda, invece, racconta, che la visita all’inferno avesse come obiettivo quello di contendere l’anima di alcuni morti al diavolo. Il suo maialino riuscì a sgattaiolare dentro, creando scompiglio tra i demoni, e Antonio, col suo bastone a forma di Tau, accese il fuoco e lo portò fuori per donarlo all’umanità, accendendo una catasta di legna. Ecco il motivo per cui in tante zone d’Italia, da nord a sud, c’è l’usanza di accendere fuochi nella notte, in onore del Santo: i “falò di Sant’Antonio”, che richiamano alla luce e che hanno una funzione purificatrice, fecondatrice e portatrice di prosperità, come segno del passaggio dall’inverno alla primavera che arriva di lì a poco.

La parola purificazione richiama appunto la purezza e deriva da pyr, che in greco vuole dire “fuoco”. Un tempo, le ceneri prodotte da questi falò venivano raccolte nei bracieri casalinghi per riscaldare le mura domestiche e per bruciare simbolicamente il passato e risorgere. Il maiale, animale simbolo nelle rappresentazioni iconografiche del Santo, era l’animale più allevato dai monaci antoniani, non tanto per una questione gastronomica, ma perché il suo grasso era un antidoto contro l’herpes zoster, che la maggior parte di noi conosce come “fuoco di sant’Antonio”. Figura da avvicinare molto a quella di San Francesco d’Assisi, anche per il bastone a forma di Tau che portava sempre con sé, Sant’Antonio è considerato il patrono degli animali domestici e delle stalle, tanto che sono stati diversi gli animali che si sono affiancati al maiale nelle immagini iconografiche. Nel giorno della sua festa liturgica, il 17 gennaio, si benedicono le stalle e si portano a benedire gli animali domestici proprio attorno a fuochi accesi.

“Ambarabà per un falò/dove metto sulla brace/tutto quanto non mi piace./Vecchio gioco e libro nuovo/quel che cerco e che non trovo,/l’ubbidienza e la pazienza./Far la nanna quando è presto/la minestra e tutto il resto.” Si tratta di una vecchia filastrocca che ancora oggi si sente negli antichi borghi, specie se di stampo rurale. Il fuoco che devasta, che incombe, che spaventa, a volte, che scoppietta, che conforta dal freddo, che schizza e scintilla, rappresenta la luce, la purificazione, la catarsi, la rinascita. In tutta Italia, ma soprattutto nel Sannio, molisano o beneventano che sia, la festa del fuoco di Sant’Antonio Abate conserva un’importanza e una valenza culturale e identitaria straordinaria. Sono tanti, tantissimi i piccoli paesi, le cittadine più grandi che accendono le loro pire. Molti fuochi prendono vita intimamente, dinanzi alle proprie case, altre volte, all’interno delle mura domestiche, come quello del camino che è sufficiente a richiamare l’antica tradizione.

A Campobasso l’accensione del falò assume una forma di identità radicale, tipica, proprio come avviene per altre solennità, come quella del Corpus Domini, per esempio. Il fuoco sul sagrato della chiesa dedicata a Sant’Antonio Abate raccoglie tanta gente, fra curiosi e devoti, enormi ciocchi di legna che ardono, voci, bisbigli e mani che si scaldano. Un fuoco attorno al quale, dopo la solennità liturgica, vengono benedetti gli animali domestici, di compagnia, che arrivano fin lì dalle case campobassane o dalle proprie campagne o stalle. Ecco, dunque, cani, gatti, coniglietti, maialini, mucche. Anche solo per un minuto, in cui si va a venerare il fuoco, a recitare una preghiera silenziosa e veloce, in cui bisogna esserci e basta, il fuoco richiama tutti, non solo i cittadini, ma anche gli abitanti d’intorno. La sera, la festa del fuoco raggiunge il momento certamente più importante. L’accensione dei grossi ciocchi di legna, appositamente portati il giorno prima sul sagrato, comincia dal mattino: la benedizione comincia una volta terminata la celebrazione della santa messa, e il fuoco arde tutto il giorno, dando vita a una festa gioiosa. Dinanzi a tale bagliore e calore, la sera si intonano canti popolari, le maitunate, e si dà vita a momenti conviviali, di gioia e comunione.

A Vinchiaturo avviene l’accensione de lu laute, una enorme catasta di legna in lode del Santo, anche qui da vedersi come punto di incontro comunitario e di convivialità, momento in cui radunarsi attorno al tepore pirico e degustare ri sciusce, una tipica pietanza legata a questo borgo, simbolo di abbondanza di olio e di frumento. Fuochi anche a Colletorto, dove ogni rione si adopera nella raccolta della legna e nell’allestimento del falò che viene acceso solo all’imbrunire. Una volta accesa la pira, questa viene benedetta dal parroco e da esso vengono tratte le braci che servono, poi, ad accendere tutti gli altri fuochi cittadini. Una festa anche in questo caso comunitaria, corale, con canti e balli tipici della bella tradizione popolare molisana e degustazione di piatti tipici. Tanti fuochi richiamano il cosiddetto giro, una visita a tutti i falò che mira a decretare il più bello. A Vastogirardi, nelle tre piazze principali vengono accesi i fuochi da parte dell’amministrazione comunale. Nei vicoli, invece troviamo quelli dei cittadini. Il fuoco principale viene allestito in piazza Vittorio Emanuele, proprio all’ingresso del paese.

Una raffigurazione del Santo

A Tufara il carnevale inizia ufficialmente il 17 gennaio, per avere la celebre conclusione nella mascherata del Diavolo il giorno di martedì grasso. Anche qui si procede all’accensione dei fuochi in varie zone del paese, alimentati da giovani cittadini che procurano di volta in volta la legna da ardere. Un uomo a cavallo di un asino, con addosso salsiccia fresca e ventresca, va per le vie del paese e, facendo finta di leggere nelle pagine di un vecchio libro ingiallito dal tempo, annuncia a tutti che inizia il periodo più gioioso dell’anno, il carnevale. La tradizione vuole che un tempo si acquistasse un maialino che era libero di girare per il paese e che veniva ospitato e nutrito da tutte le famiglie, il quale, nei giorni precedenti il 16 gennaio, veniva macellato, e le cui salsicce, ventresche e soppressate, erano protagoniste di un lauto banchetto che nei giorni del 16 e 17 gennaio veniva organizzato e consumato tutt’intorno ai falò accesi nel paese, con l’accompagnamento di un buon bicchiere di vino, goliardie, maitunate, bufù e fisarmoniche. Oggi la tradizione viene portata avanti con successo, ma il maiale non è più libero di girare per il paese, e viene allevato in qualche fattoria da famiglie di contadini. Ad Acquevive di Frosolone, una contrada nella quale vivono circa ottanta famiglie, i festeggiamenti iniziano dal pomeriggio del 16 gennaio, quando bambini e ragazzi di tutte le età intonano, casa per casa, il canto dedicato al santo. La sera, invece, a cantare sono musicisti e cantori che, armati di organetti, fisarmoniche, chitarre e tamburelli, augurano salute e benessere, omaggiati dal grande fuoco che viene acceso la sera e fatto ardere per tutta la giornata del 17. Anche a Pescopennataro i festeggiamenti in onore di Sant’Antonio vedono come grande protagonista il fuoco. La festa coinvolge tutti, grandi e piccini e la brace diventa un momento conviviale in cui degustare carne e piatti tipici locali.

Stessa cosa nella provincia di Benevento, dove viene celebrato il Santo con tutte le tradizioni del caso. I sagrati e le piazze di molte chiese vengono occupati dagli animali portati dai loro proprietari per l’annuale benedizione attorno ai grandi fuochi. A Benevento i tradizionali lampe, i fuochi accesi in onore di Sant’Antonio, scoppiettano nell’elegante centro storico, Anche qui l’accensione ha il sapore dell’antico, del passato, delle memorie e dei racconti che ci sono stati tramandati. Stessa cosa nel territorio fortorino, dove l’usanza si rinnova ogni anno, come ad esempio a Foiano Valfortore. Qui i fuochi dedicati a Sant’Antónó, accesi in vari punti del paese, hanno vita soprattutto grazie al lavoro e alla devozione dei ragazzi del borgo, i quali già dal pomeriggio, se non dal giorno precedente, accumulano fascine e legna, per fare in modo che il loro fuoco diventi sempre più alto. Anche questi falò sono l’occasione conviviale affinché si intensifichi e si riaffermi quell’identità comunitaria tanto cara alla gente del posto, occasione per incontrarsi, conoscersi, chiacchierare, divertirsi, bivaccare. Ovviamente si arrostisce sotto alla brace dei fuochi, principalmente salsicce e carne di maiale, animale che gastronomicamente richiama al gennaio, ma anche al culto di Sant’Antonio. A Ponte la manifestazione dei fuochi di Sant’Antuono viene organizzata dalla locale pro loco, dal comune e dal forum dei giovani: si tratta di un’antica tradizione che si tramanda di generazione in generazione. Nei tempi passati era l’occasione per ogni cittadino di accendere, in prossimità della propria abitazione, un proprio fuoco e di gustare prodotti fatti in casi accompagnati da un buon bicchiere di vino. Un rito all’insegna del recupero delle antiche tradizioni e del rafforzamento del senso di appartenenza al proprio luogo di origine.









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