Il Maestro Tommaso Saggese nel ricordo nel nipote Nico (Saggese) Ascierto

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Riceviamo e pubblichiamo – Testo e foto di Nico Saggese, Ascierto

Il ricordo del Maestro Tommaso Saggese, artista di Cervinara, nelle parole del nipote Nico Saggese Ascierto.

Nell′ultimo centimetro del vaso, l’acqua tiene in vita un fiore.

Al Maestro Tommaso Saggese, scomparso il 29 novembre 2021.

Sulla piccola scrivania di mio zio Tommaso Saggese, poche ore dopo la sua morte, ho scorto un cartoncino, riciclato da qualche packaging e sapientemente riutilizzato, come lui soleva fare, con sopra, scritte a penna e con magnificente grafia, queste parole:

Lo so che piangerò ricordando (guardando) gli occhi che non vedrò più.

I miei gatti, la mia vita nelle carezze dei dolori; non li avrò più.

Dio ha dimenticato l’inutilità della mente e dell’amore

se non si può fare niente quando si ama.

Loia Tommaso Saggese. 19 –

Leggendo e piangendo la mia mente le ha collegate a un brano di Pino Marino, L’amore non ricorda. I testi e le canzoni di questo immenso cantautore, a cui sono molto legato anche personalmente, mi accompagnano ormai da anni. In ogni momento della mia vita, bello o brutto che sia, mi torna in mente una sua frase, una sua strofa, un ritornello, un pezzo. Parole che sembrano scritte per me. Anche per me e per mio zio, per alleviare il dolore, in questo caso:

L′amore non ricorda dove ha già messo i piedi

E dai passi sbagliati mi pare non impari

Se la pazienza ha un limite, dov’è che smette il cuore

Nell′ultimo centimetro del vaso, l’acqua tiene in vita un fiore…

Tommaso Saggese, Loia Tommaso Saggese come da qualche anno e dopo la morte di sua madre (mia nonna Pina) si firmava e firmava le sue opere, era un grande artista. Non lo dico io, lo dice chi capisce davvero di arte. I suoi trascorsi, la sua vita, il suo talento erano sconosciuti ai più ma ben noti a chi ha avuto il privilegio di conoscerlo, di frequentarlo, di osservarlo e di imparare. Non tutto, impossibile. Qualcosa. A detta di molti, come riporta un bellissimo pezzo a lui dedicato da “il Caudino”, era l’allievo di maggior talento di una nidiata straordinaria che si è formata presso il liceo artistico di Benevento e che ha conseguito il diploma nel fatidico 1968, tra i quali spiccano, per fama, artisti oramai noti e apprezzati in tutto il mondo. Mio zio non era così. A lui del mondo, di quello che deve giudicare, non gliene fregava niente. Eppure io, negli ultimi anni e nel periodo immediatamente precedente all’infausta era covid, sono riuscito in una piccola impresa. Veramente piccola, sia chiaro, ma assai difficile per chi conosce bene il personaggio. Sono riuscito a farmi concedere la sua autorizzazione all’utilizzo di due sue opere, per la prima e la quarta di copertina di un mio libro.

Ricordo bene quel periodo perché ci vedevamo quasi ogni sabato, previa telefonata, naturalmente, perché zio era così. Mai prenderlo all’improvviso. L’attimo, quello utile, lo decideva lui. Abbiamo letto insieme la bozza del libro; lui è stato il primo a leggerla e a capirne il senso; non letterale e scontato ma quello profondo, intimo. E’ solo grazie a lui che ho deciso di pubblicarlo sul serio, perché fino a quel momento quella “roba” era solo mia. Ciò che ci siamo detti in quel periodo, quello che mi ha confidato, quello che di suo mi ha fatto leggere e soprattutto vedere, lo terrò per me, nel cassetto prezioso dei miei indelebili ricordi. Come quando da piccolo veniva a casa e mi insegnava a disegnare, prima i contorni, poi i dettagli. “Osserva i grandi artisti, ripeteva sempre e prova a replicare le loro opere per iniziare. Non è copiare questo, anche perché non ci riuscirai, ma imparerai dai migliori”. Ed io osservavo lui e lo copiavo, con pessimi risultati ma con grande impegno.

Digressioni e amarcord a parte, sarebbero troppi quelli che mi legano a mio zio, dopo quella “condivisione” e soprattutto dopo aver rotto il muro della sua (ma anche della mia) ostinata ritrosia al “pubblicare”, al far vedere agli altri, al farsi giudicare e dopo l’uscita del mio romanzo nel 2018, con le sue opere in copertina, avevamo persino abbozzato un nuovo progetto: pubblicare alcuni suoi lavori (non facile selezionarli tra migliaia) con accanto dei miei testi e anche alcune sue poesie, scritte tra un quadro e l’altro, in quelle sue lunghe, solitarie giornate.

Un solitario, zio. Un solitario mai solo perché sempre assorto nei suoi pensieri. Pensieri lungamente dolorosi per un uomo con una vita complessa, durante la quale è stato privato e si è auto-privato di grandi affetti. Una scelta non scelta, la sua.

Io che l’ho conosciuto bene sapevo cosa significassero le sue remore, i suoi indugi. Ci sono cose che vanno fatte in un momento ed in un tempo precisi. Passati, quel tempo e quel momento, non saranno mai più quello che sarebbero stati realmente. Perdere l’attimo da cogliere – quell’attimo che doveva scegliere lui – è stato certamente il suo più grande tormento. Quel tormento che probabilmente ne ha fatto la grandezza artistica. Soffre chi pensa. E lui soffriva e pensava e dipingeva tutto ciò.

Non parlerò approfonditamente delle sue doti e dei suo gusti artistici. Altri lo hanno già fatto e altri ancora lo faranno meglio e dopo di me. Tommaso Loia Saggese, nei suoi circa 60 anni di attività, ha dato vita a creazioni straordinarie utilizzando le più disparate tecniche. Pittore, scultore, poeta. Bastava mettergli una biro, una matita o un pezzo di legno in mano e, come per magia, in pochi secondi veniva fuori un pinocchio parlante, un clown triste, un paesaggio della sua amata terra, Cervinara, un focolare domestico, una bottega, quella in cui è cresciuto, quella di mio nonno, falegname, ebanista specializzato in intaglio.

La sua era e resta bellezza pura. Vederla, in ogni senso, è privilegio per pochi. È questo privilegio che io desidererei cancellare. Mio zio non era un privilegiato, non si sentiva tale e odiava i soprusi, le iniquità, le ingiustizie. Amava l’arte in ogni sua espressione, dalla musica alla pittura. E questo ci accomunava e ci accomunerà per sempre. Oggi, a pochi giorni dalla sua morte improvvisa e immensamente dolorosa, sono ancor più convinto che le sue opere vadano rese popolari.

L’unico modo per onorarne degnamente la memoria, per rendere perenne la sua arte e il suo pensiero è dare luce alla sua vita artistica. Sono certo che in questi anni, chi gli è stato accanto con pazienza infinita e amore incondizionato, come sua moglie, mia Zia, saprà comprendere questa necessità e avrà la stessa intenzione.

Loia Tommaso Saggese, per tutti, tranne che per se stesso, “il professore” è un artista che non ha avuto in vita la possibilità di far apprezzare quello che ha realizzato. Ha avuto altre vicissitudini, altri problemi che gli hanno negato quella che sarebbe stata la sua ovvia e naturale evoluzione personale e professionale.

Nessuno che abbia vero talento e tali necessità espressive vuole creare per non condividere ma solo i veri grandi sono talmente pudici e dubbiosi, da ritenere secondario far “conoscere al mondo”, continuando ad interrogarsi all’infinito, in maniera minuziosa ed ossessiva, sul “cosa” dire e dare, al mondo, di realmente utile. Molti, senza queste doti, hanno creato ovvietà in funzione degli altri. Loia Tommaso Saggese ha creato “straordinarietà” che, agli altri, è ora di far conoscere, senza privilegi.

Ci vediamo quando non c’è nessuno”, mi diceva sempre. Zio, ci vediamo quando ci saranno TUTTI questa volta, perché… nell′ultimo centimetro del vaso, l’acqua tiene in vita un fiore.









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