Accadde oggi: 10 giugno 1940, Mussolini annuncia l’entrata in guerra dell’Italia

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Il 10 giugno 1940 era un lunedì, faceva molto caldo, l’Ambrosiana Inter si era appena laureata campione d’Italia, durante una combattuta partita contro il Bologna. Fausto Coppi aveva appena vinto il Giro d’Italia. Una giornata pre-estiva, serena e che non lasciava intravedere nubi nere in cielo. Nella stessa giornata, davanti a uno specchio della sua camera da letto, Benito Mussolini cominciò a preparare il suo discorso per dichiarare guerra a mezza Europa e far scendere in campo “otto milioni di baionette”. Indossò l’uniforme di caporale d’onore della milizia, con una sahariana vistosa e pesante. Alle ore 15 gli altoparlanti presenti agli angoli delle piazze emisero le prime voci di prova. Subito dopo l’appello all’adunata: “Stasera, alle ore 18, dal balcone di Palazzo Venezia, Benito Mussolini parlerà al popolo italiano”. E puntualissimo, appena furono le 18, la vetrata si aprì.

Il vicesegretario del Partito Nazionale Fascista, Pietro Capoferri, cominciò a incitare la folla preparandola al saluto fascista il duce sul balcone, mani appoggiate al davanzale: scese un silenzio teso, carico di ansia, paura e affanni. La voce metallica scandì le sue prime parole: “Combattenti di terra, di mare, dell’aria, Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania! Ascoltate! L’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria, l’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italianoL’Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto fu vano”. Il discorso terminò con la celebre frase: “La parola d’ordine è una sola… vincere… e vinceremo”. Applausi, tanti, ma di certo non furono applausi travolgenti. Mussolini si ritirò, poi si riaffacciò, col sorriso compiaciuto, di chi aveva vinto. Si sentiva un vincente. I titoli dei quotidiani dei giorni seguenti annunciarono l’entrata in guerra a caratteri cubitali. In pubblico la gente fingeva ottimismo, commentava positivamente per paura di essere accusata di antifascismo, ma tutti erano intimoriti e preoccupati. Commentò così Galeazzo Ciano: “Sono triste, molto triste. Che Dio assista l’Italia”. Il resto è storia. 









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