Giornata dei dialetti, Guardia Sanframondi: una lingua unica e rappresentativa

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Tratto da Una domenica a Guardia Sanframondi: lustri e tradizioni di un borgo senza tempo di Fremondoweb

Nello studiare la disciplina di Storia della Lingua Italiana, all’Università degli Studi di Napoli Federico II, ci si imbatte nei dialetti della Campania, vere e proprie lingue da conoscere e analizzare. Io mi ritrovai a studiare testi di canzoni come Napul’è, influssi spagnoleggianti della nostra bella lingua napoletana e mi imbattei nella caratteristica lingua guardiese. Un dialetto, mi dirai. E, invece, ti rispondo di no, una lingua vera a propria, quella di Guardia Sanframondi. *Wardia, in gotico, vuol dire “sorvegliante”, a guardia dell’intera valle; Sanframondi, da frai, “libero” e mund, “mano” e, in seguito, “protezione”. Una fortezza libera che guarda la Valle dall’alto. Un “nido d’aquila”, per usare le parole del Prof. Silvio Falato (Proverbi per un anno, spunti di ricerca linguistica a Guardia Sanframondi) che si esprime in un dialetto molto particolare, diverso dagli altri, “rude ma genuino, in cui sono incastonate tantissime gemme ereditate dall’osco, dal greco, dal latino, dal longobardo, dal fràncone, dal francese antico, dallo spagnolo”.

Una lingua dalla base tipicamente latina, il cui elemento riconoscibile, in chi l’ascolta, è certamente l’articolo determinativo diverso da ogni forma dialettale campana, anche della Valle Telesina stessa, molto simile a quello molisano. Sappiamo che San Lupo, precisamente già dal Ponte delle Janare, fino al 1861 fu parte del Molise e della provincia di Campobasso, Alto Sannio, con cui Guardia aveva numerosi scambi commerciali e culturali. L’articolo ru, di stampo molisano, a sua volta di origine latina, da illum, diventò , quel suono rude, a volte freddo e aggressivo che ci mette a cospetto di una lingua che ha in sé alte connotazioni glottologiche, differenti anche dal dialetto della vicina Castelvenere. Una lingua dai richiami normanni, quella popolazione che si inserì in gran parte del territorio longobardo ormai morente, che restarono nella bella Wardia per più di quattro secoli, dall’XI fino al 1469. Una lingua, sempre per dirla con le parole di Silvio Falato,“aperta ai rumori delle consonanti e poco disponibile nei confronti dei suoni melliflui delle vocali”.









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