Immagini dal Sannio: il ponte Maria Cristina, memoria storica di Solopaca

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Il ponte in un dipinto di Salvatore Fergola, paesista della Real Casa di Borbone.
Il quadro si trova al Museo di Capodimonte.

Nel 1828 sul fiume Garigliano era in costruzione un ponte sospeso con catene di ferro che apriva la strada per Cassino e per la Valle del Liri, opera che avrebbe costituito una porta d’ingresso per l’Abruzzo. Proprio su tale esempio, il Consiglio Generale del Molise chiese al Governo di costruirne uno simile sul fiume Calore, presso Solopaca, burgus del Sannio beneventano. Una richiesta accolta con grande entusiasmo, un’opera ingegneristica necessaria, perché permetteva di unire la Valle Telesina al Taburno. L’impatto mediatico del ponte Garigliano fu molto grande perché, essendo sospeso, riusciva a tenere sotto controllo le frequenti piene del fiume, per cui non fu necessario pensarci due volte. Non si trattava di una impresa semplice, ma vennero fatti numerosi tentativi invano a causa delle continue piene che impedivano i cantieri di portare a termine il lavoro. Su progetto dell’ingegnere napoletano Luigi Giura, una delle più conosciute stelle nascenti dell’ingegneria civile della Penisola, che pure aveva progettato quello sul Garigliano, il ponte fu realizzato e completato fra il 1832 e il 1835. Seguì l’inaugurazione alla presenza della regina Maria Cristina di Savoia e del suo consorte, Ferdinando II di Borbone.
Si racconta che il piccolo comune di Solopaca non fosse adeguatamente preparato alla visita straordinaria dei monarchi. Non si sapeva, dunque, come accogliere tutta la Corte. Solopaca era addirittura privo della Casa Comunale. L’allora sindaco Giuseppe Abbamondi decise, dunque, di far dipingere, all’improvviso, una targa con la scritta “MUNICIPIO” da far apporre sul castello ducale. Un trucchetto che subito fu capito dal monarca Ferdinando, il quale, una volta entrato nella residenza nobiliare, guardò il primo cittadino e con un filo di sarcasmo e un beffardo sorriso disse: “Abbamondi, Abbamondi! Inganna pure il mondo, ma non ingannare il tuo re!“.

Il ponte realizzato fu considerato, sin da subito, di grande spessore e valore ingegneristico, il secondo sospeso in Italia, terzo in Europa. Agli opposti ingressi furono previste due piazzole, sulle quali si potevano costruire i locali per le guardie e per i custodi, figure molto importanti perché garantivano l’accesso al cantiere di mezzi e materiale che non danneggiassero i lavori in corso. Tra l’altro, a causa delle frequenti piene del fiume Calore, l’architetto diede al pavimento una elevazione di 35 palmi, ossia circa nove metri, per renderlo sicuro da eventuali urti di corpi che potessero galleggiare. La struttura poteva sopportare carichi fino a tre tonnellate. Tutti questi accorgimenti, però, non bastarono. Nel novembre del 1851 una violenta e possente inondazione causò ingenti danni nel territorio circostante e distrusse il ponte, trascinato via dalle acque impetuose del Calore. Non ci si perse d’animo e, laboriosamente, fu subito ricostruito, con una struttura questa volta maggiormente rafforzata e che poteva resistere a tutto, alla furia delle piene del fiume, ma non agli attacchi bellici dei tedeschi della I Divisione Hermann Goring che fuggiva dall’avanzata americana. Una mina e subito dopo un carico d’esplosivo misero fine ai collegamenti all’interno della regione. Il ponte fu ridotto in un cumulo di macerie e bisognava prontamente recuperarne quanto più possibile i frammenti.

Uno dei nuovi leoni del ponte.
Foto di Di Ciaccio

Nel 1947, anno di inaugurazione del nuovo ponte Maria Cristina, la struttura venne realizzata in cemento armato, tipico materiale edilizio del dopoguerra. La storia dei recenti anni vede come protagonisti i suoi leoni di pietra, realizzati sullo stile di quelli del colonnato della basilica di San Francesco di Paola. Questi vennero rubati nel 2003 e non si è mai saputo nulla riguardo alla loro fine. Circa dieci anni dopo, alcuni leoni sono stati rinvenuti in Belgio e riportati nel Sannio, ma solo successivamente si sono rivelati falsi.
Su uno dei pilastri del ponte è ancora conservata l’iscrizione datata 1835 che, da una traduzione di Alfredo Romano, recita così: “Ferdinando II, Re delle Due Sicilie e di Gerusalemme P.F.A., nato per il bene pubblico, affinché, essendosi rotta l’accorciatoia del Calore, non fosse impedito ai popoli il vicendevole miglioramento, per lunghe dispendiose vie, comandò che fosse fatto immediatamente un ponte, a cominciare da quello già costruito, che corresse non sopra piloni ed arcate, con pietre conce, ma fatto artisticamente, con una compagine di legno e di bronzo, con sotto tese delle intelaiature, pendente nell’aria, immobilmente fermo, con danaro raccolto dai Campani e dai Sanniti, gareggiante per magnificenza e per eleganti ornamenti con il ponte di Ferdinando; ed essendo completato in ogni parte, il Re stesso, avendolo inaugurato con solenne rito, per il primo, fra tutti, senza alcun incidente, circondato dalla regia cavalleria, con buon augurio, essendo passato oltre fra gli applausi e le liete acclamazioni dei popoli, lo consacrò; e, avendolo insignito dell’augusto nome della fiorentissima sua consorte Cristina, lo consegnò all’immortalità. 5 aprile 1835“.
Proprio accanto, si trova la Fontana della Sala con un retrostante lavatoio pubblico.









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