Immagini dal Sannio: l’artigianato molisano, dal ferro all’argilla al rame

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L’artigianato è una delle caratteristiche del piccolo gioiello regionale che è il Molise, e poggia sulla bravura della manualità, sapientemente esaltata, e da un attento studio dell’evoluzione dei tempi per non alterare il senso stesso della tradizione. Le botteghe artigianali che ancora sopravvivono ad antiche tradizioni sono concentrate maggiormente nei paesi di montagna che, proprio grazie al loro isolamento dal traffico e dai grandi centri commerciali, sono sempre stati autosufficienti, riuscendo a vivere grazie alle proprie forze e risorse, con la produzione di attrezzi da lavoro, utensili da cucina, arnesi e oggetti di uso quotidiano. L’artigianato tipico molisano oggi sopravvive nei settori della ceramica, della terracotta, del ferro battuto o lavorato, dell’acciaio traforato, della tessitura, dei merletti a tombolo, del rame, degli strumenti musicali.

La lavorazione dei metalli nel Molise è un’arte antica e legata alle tradizioni e alle esigenze quotidiane della civiltà contadina. Rame, bronzo, oro hanno sempre avuto un’importanza rilevante per l’economia molisana. Le origini della produzione di rame agnonese sono molto antiche, molto probabilmente gli artigiani che lavoravano l’elegante metallo rosso moltiplicarono con la venuta ad Agnone dei coloni veneziani, e si specializzarono nel cesello artistico delle tine e dei mestoli. Crebbe rapidamente la richiesta del prodotto portando alla ovvia crescita del settore. Ma uno dei motivi di tale successo fu, indubbiamente, la qualità del prodotto. Le botteghe più importanti erano quelle della Chiesa di S. Marco, degli Antonelli e dei Cerimele. Una produzione che diveniva molto intensa nel periodo invernale, in cui venivano prodotti i manufatti che poi si vendevano nelle fiere estive. Grazie ai lunghi tratturi e alla transumanza, il rame agnonese riuscì a raggiungere i mercati di Puglia e d’Abruzzo. Una tradizione fiorente fino a che i manufatti non vennero soppiantati da quelli delle fabbriche settentrionali, meno costosi, perché godevano della produzione in serie, ed erano maggiormente rifiniti. Tante erano le fonderie di rame disseminate lungo il fiume Verrino, dove i rottami venivano fusi a circa 1100 gradi e il liquido veniva versato in crogiuoli di diverse misure. Ad Agnone, ancora oggi, col rame si producono tine per l’acqua, bracieri, piatti ornamentali, mestoli e altri utensili sagomati con gusto antico. Le campane di Agnone sono conosciute e ricercate in tutto il mondo e sono il risultato della secolare attività della Pontificia Fonderia Marinelli, che pratica l’arte di produzione campanaria, secondo regole immutate nei secoli. Dall’anima in mattoni, ricoperta da tre strati di argilla nasce la falsa campana che, riscaldata secondo la tecnica a “cera persa”, viene fusa con una colata di bronzo preparata con rame e stagno. I Marinelli hanno fuso le migliaia di campane che squillano dall’alto dei campanili delle maestose cattedrali e delle più piccole cappelle molisane, pugliesi, del Lazio e della Campania, italiane ed estere, nelle Americhe, in Russia, persino nel Vietnam.

Chi sa lavorare il ferro battuto riesce a trasformare una grezza sbarra metallica in artistici oggetti, balaustre, portavasi, ringhiere, lanterne, alari per caminetti, animali e fiori. Specialmente rose di ferro, in cui la tenue venatura delle foglie sa di ricamo e di pazienza. A Campobasso la lavorazione del ferro battuto ha origini antiche ed è testimoniata dalle opere di arredo pubblico e privato eseguite dai maestri Tucci. Girando nel capoluogo molisano non si può non notare la maestria, la bellezza e la grande classe dell’arredo urbano in ferro battuto. Un’arte che, ancora oggi, viene praticata in alcune botteghe. A Campobasso, negli anni Venti e Trenta, la scena fu dominata proprio dalla figura della famiglia Tucci. Cancellate, recinzioni, panchine, lampioni, sono tutte opere realizzate con la sapiente maestria di questi bravissimi artigiani. Eppoi il Sacrario di Castello Monforte e i balconi di Palazzo Grimaldi o del Teatro Savoia, il reggicero pasquale della Cattedrale, il cancello del Municipio, il lampione esterno di Villa de Capoa, la Cappella Fago del cimitero comunale e tante altre preziose testimonianze che si possono scoprire nel capoluogo del Molise. Le lame di Campobasso, invece, sono soltanto un ricordo perché Carlo III di Borbone ne proibì la produzione, tanto che le numerose botteghe che si allineavano lungo il Borgo dei ferrari, oggi via de’ Ferrari, trasformarono la lavorazione delle lame e dei pugnali in quella meno bellicosa e più domestica dei coltelli, delle forbici e dei rasoi.

A Frosolone, invece, è ancora viva l’antica tradizione che ha i richiami dell’antico ma anche dell’esigenza di districarsi con le necessità quotidiane di tanto tempo fa. Frosolone è un centro di montagna presso le sorgenti del torrente Durone, e i suoi coltellinai continuano a produrre lame secondo regole e forme immutate. In epoca spagnola, le lame di Frosolone gareggiavano in rinomanza con quelle di Toledo, e non avevano nulla di meno delle splendide opere artigianali spagnole. In questo borgo molisano, ogni anno, si svolge la Mostra Mercato Nazionale delle Forbici e dei Coltelli con l’utilizzo di botteghe artigiane collocate lungo un percorso che si snoda nel cuore del centro storico della cittadina. Una valida testimonianza di una tradizione artigianale ancora viva, nonostante la concorrenza industriale. I tipici prodotti di Frosolone “fatti a mano e su misura”, sono gli esclusivi coltelli e forbici: Zuava con manico tartarugato, coltello a scatto, coltello a molla fissa, coltello “gobbo di Frosolone”, temperino, sfilato, mozzetto, coltello da innesto, forbici da sarto, da barbiere, da potatura, da ufficio e da manicure; e poi pugnali con accorgimenti e ornamenti pregiati in osso bianco e colorato, in argento, corno, legno, madreperla e, spesso, intarsiati. Alla Mostra Mercato, si accompagna la “Festa della Forgiatura”, con la realizzazione, in piazza, di ferri taglienti e la produzione di barre in acciaio damascato per ricavarne lame. Una tecnica che ricorda il tempo andato e che conserva tuttora l’antico fascino e mistero di un’attività che ha avuto origine in tempi molto antichi, che si è tramandata da generazione a generazione.

La lavorazione dell’argilla è, tra le più antiche attività artigianali e di essa restano tracce a Guardiaregia e a Campobasso. A Guardiaregia ancora oggi sapienti mani modellano la creta per trarne pentole e tegami di tutte le dimensioni, ottime per cuocere legumi, friggere uova e mantenere calda la zuppa. A Campobasso è stato Vittorio Villani l’ultimo artefice di un’attività fiorente che risale al XV secolo. La lavorazione del cuoio era praticata a Bonefro, a Carpinone, Fornelli, Fossalto, Vinchiaturo e altri borghi in cui si producevano selle e finimenti per animali da cavalcatura. La lavorazione del cuoio sopravvive ancora a Campobasso, a Bojano e a San Martino in Pensilis, ma Sant’Elia rimane, comunque, uno dei mercati più importanti. La lavorazione della canapa per corde e funi si ritrova ancora a Bojano, Frosolone, Guglionesi, Ripalimosani, Isernia e Venafro, luoghi in cui resiste un tradizionale mercato di specie. La tessitura fatta a mano ci riporta ai pizzi e merletti a tombolo, che fanno di Isernia la regina per questa caratteristica arte. Le donne effettuano con rara maestria, su un tradizionale pallone, guizzi con le dita degli agili tummarielli. Parliamo di un’arte raffinatissima importata probabilmente dalla Francia e oggi, l’Istituto d’Arte ha aperto una sezione dedicata allo studio del merletto e, quindi, alla conservazione di questa forma di arte autentica, radicata nella memoria e nel territorio. La lavorazione del tombolo a Isernia risale al 1300. Negli antichi conventi benedettini di Isernia, Santa Maria delle Monache e Santa Chiara, erano ospitate rappresentanti dell’aristocrazia diventate suore per non disperdere il patrimonio familiare: a esse, che erano dedite alle arti manuali, musica e poesia, si deve il maggior incremento dell’arte del merletto. Non sono del tutto chiare, però, le origini di quest’arte: generalmente si fanno risalire all’epoca della dominazione spagnola, anche se ad Isernia il merletto era già in auge in età angioina, come si evince da documenti del tempo. Quest’attività è stata tramandata nei secoli da madre in figlia e fin dall’infanzia si apprendevano i metodi di lavorazione. Per fare il pizzo a fuselli occorre un cuscino a forma di rullo che poggia su un piedistallo di legno spostabile e leggermente inclinato e parecchi fuselli, degli spilli in ottone argentato e del filo di lino. Per ogni merletto a tombolo che si vuole eseguire occorre uno schema esatto del disegno.

Le zampogne ancora oggi vengono fabbricate a Fontecostanza, a pochi chilometri da Scapoli, per opera delle famiglie Di Fiore e Gualtieri, che si dedicano a una secolare tradizione, mantenuta in vita dalle mani sapienti di intere generazioni. La zampogna molisana, il tipico strumento pastorale che ci riporta al Natale, è realizzata con legno di ciliegio o di ulivo, d’albicocco, di prugno o di mandorlo stagionato al sole, assemblato a pelli di capra o di pecora opportunamente trattate. A Scapoli, alla fine del mese di luglio, da anni si ripete la Mostra-Mercato e Festival della zampogna, e si può visitare il Museo che espone strumenti di produzione locale ed estera. Quello della zampogna è un artigianato molto particolare, legato alla tradizione natalizia delle novene, che richiamava, già alla fine del secolo scorso contadini e pastori della montagna molisana in città anche lontane a suonare nenie con zampogne e pifferi. Questo strumento rappresenta il simbolo della cultura agro-pastorale e viene suonata insieme alla ciaramella, la cui denominazione deriva probabilmente dal latino calamellus e che è l’antenata dell’oboe moderno la quale, suonata insieme alla zampogna, esegue la parte solista dei brani.









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