Immagini dal Sannio: le miniere di bauxite di Cusano Mutri

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Ingresso di una miniera, foto di Emidio Civitillo

Dobbiamo innanzitutto chiarire di cosa stiamo parlando. La bauxite deriva il suo nome da Baux, una località della Provenza che presenta i più importanti giacimenti al mondo di questo minerale dall’aspetto amorfo, granulare e con apparenza terrosa e argillosa, da cui si ricava l’alluminio. Gli strati rocciosi che lo contengono spesso affiorano in superficie e dato il particolare colore rosso, più o meno intenso, che li denota, spesso vengono appellati pietre rosse. Nell’Appennino centrale i giacimenti di bauxite si trovano distribuiti anche nel territorio del Matese, e i principali affioramenti in situ sono quelli di Cusano Mutri. Le prime tracce nella zona matesina di questo minerale si trovano a un’altitudine non molto elevata, poco più dei 600 m.s.l.m, fino a salire alle pendici dei monti Mutria ed Erbano. Già dal 1900, la Società Anonima Monte Mutri prese in concessione le miniere, prese in seguito dalla Montecatini S.p.A., il maggiore complesso industriale italiano. La prima volta che il Comune di Cusano diede la concessione per lo sfruttamento minerario del Monte Mutria fu nel 1902 a favore dell’ingegnere Michele Monti. Fu durante una campagna di ricerca dell’epoca che venne realizzata la miniera di Fosso Calvarusio, sul fianco orientale del massiccio matesino. L’estrazione di bauxite ebbe una storia abbastanza lunga: essa proseguì fino al 1965 fino a che i varchi di accesso e i pozzi furono chiusi, La bauxite delle miniere di Cusano veniva stoccata, o suddivisa, negli appositi grossi scompartimenti di cemento, i cosidetti tramogge, per la selezione delle diverse qualità del minerale stesso. Il minerale, che partiva solitamente dal pianoro della Regia Piana-Pecorareccia, una volta trasportato a valle con la teleferica, che era capace di sopportare fino a 30 tonnellate di materiale grezzo all’ora, veniva tradotto alla stazione ferroviaria di Telese Terme da cui partiva alla volta del porto Napoli per poi raggiungere il Veneto. Un lungo e costoso trasporto che per una serie di motivi, soprattutto economici, fece in modo da portare a un lento abbandono dell’attività, con la predilezione di materiale proveniente dall’estero a prezzo certamente più competitivo.

Resti della polveriera in cui veniva custodito l’esplosivo da utilizzare nelle miniere per l’estrazione della bauxite, foto tratta da emidiocivitillocusanomutri.blogspot.com

Dagli anni ‘20 fino agli anni ‘60 del secolo scorso, nel territorio cusanese erano presenti tredici cave di varie dimensioni. La più nota è quella della località Regina Piana. La sopra citata ex miniera di Fosso Calvarusio presenta una lunghezza di circa 300 metri. La galleria entra perpendicolarmente nella montagna fino a che non si divide in diversi bracci e cunicoli esplorativi. Molti sono i punti in cui essi presentano una larghezza maggiore: questi spazi venivano usati dai minatori come zona di riparo durante le fasi di esplosione. Le tracce delle attività di scavo sono molteplici, tra cui i resti delle opere di sostegno della volta. I pavimenti delle gallerie presentano i resti di rotaie in metallo per i carrelli che trasportavano materiale di lavoro. Lungo il percorso ci si imbatte nella rimonta, che serviva a collegare la miniera con l’esterno. Le restanti undici miniere, di dimensioni più ridotte, vengono denominate ipogei. Prima della definitiva chiusura delle miniere, attorno al 1961, fu individuata una ulteriore area dove si potevano estrarre altre 620 mila tonnellate di bauxite, quella di Bocca della Selva. ragioni economiche, che in questo caso strizzavano l’occhio al turismo, non permisero di scavare per attuare il nuovo giacimento.









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