Immagini dal Sannio: Santa Croce del Sannio sulla via della transumanza

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… E vanno pel tratturo antico
al piano quasi per un erbai fiume silente
su le vestigia degli antichi padri…

(G. D’Annunzio, I Pastori)

Siamo all’estremità della provincia di Benevento, nella zona fortorina lambita dal percorso del fiume Tammaro. Santa Croce del Sannio è un borgo sannita noto già nota in epoca romana in quanto punto di sosta lungo l’antica via Minucia. La via Minucia era un percorso parallelo alla storica via Appia, alla via Latina Casilina e alla via litorale adriatico. Essa, ricordata da Strabone come una mulattiera, oggi viene identificata con la S.S. Appulo Sannita. Il toponimo Santa Croce del Sannio compare in alcuni diplomi stilati nell’VIII secolo d.C. come Casale Sanctae Crucis. In seguito, il re longobardo Desiderio la assegnò ai monaci dell’abbazia di Montecassino, per poi passare alla feudalità di Rodolfo Alemagno, che ne fece suo possesso dal 1172 al 1183. Prima di far parte della provincia di Benevento, dopo l’Unità d’Italia, appartenne dapprima a quella di Capitanata e poi a quella di Campobasso. Molto probabilmente il nucleo del suo centro storico è di origine medievale, anche se, secondo le fonti storiche, sembra che il suo territorio sia stato popolato già nel periodo del Paleolitico. La sua storia ha avuto tracce di frequentazioni di Sanniti e Romani. Nel periodo normano i raggruppamenti delle sue abitazioni furono incorporati nel castrum che, appunto, comprendeva l’aggregato di case posto a valle del castello, il quale, con l’avvento degli aragonesi e con l’arrivo in Santa Croce dei Del Balzo fu ristrutturato dividendolo in due parti. Nella metà che si affaccia sulla valle e sul torrente fu costruito un palazzo a corte, utilizzando anche le strutture preesistenti del torrione; nell’altra metà fu realizzato un giardino pensile.

Un piccolo centro, curato ed elegante, in cui risaltano case e palazzi con caratteristiche facciate tardo barocche e neoclassiche, una piazza mercato dalla caratteristica fattezza, a forma trapezoidale e una bella fontana monumentale a tre arcate realizzata alla fine dell’Ottocento su disegno dell’architetto Parente. Uno spazio vitale per la bella Santa Croce, che ebbe una grande funzione commerciale, favorendovi un’importante concentrazione di popolazione. La denominazione deriva dalla chiesa dedicata alla Santa Croce, oggi Chiesa di Santa Croce e convento francescano, che risale al VII sec. d.C., la quale sovrasta imponente il centro abitato. Il castello e il feudo furono tenuti per secoli dalla famiglia dei Santacroce, una delle più importanti del regno angioino. Il fortilizio controllava anche la strada che si biforcava verso Castelpagano e Circello, e al suo incrocio sorgeva la chiesa di S. Filippo, che già nel XIV secolo fu citata come dipendenza di S. Sofia di Benevento. Dal 1798 fu attiva anche la Taverna Nuova e, dal lato opposto, sorse Palazzo Galanti con il suo bellissimo giardino. Sullo stesso lato, ma sopraelevato, era il palazzo baronale, che nacque come frutto delle modifiche dell’antico castello, con la sua piazza. Limitrofa al palazzo baronale è la chiesa matrice dedicata all’Assunta, costruita probabilmente nel 1536 e ricostruita nelle forme attuali a seguito del terremoto del 1688, il cui campanile fu terminato nel 1865. L’attuale Portanuova, sottostante il castello, originariamente si chiamava Portavecchia: la denominazione attuale fu ripresa dalla costruzione della Fontana Nuova, a essa adiacente. Quasi di fronte è la chiesa di San Sebastiano, di fattezza rinascimentale, con un bellissimo ed elegante portale. L’obelisco che si trova nei pressi ricorda l’istituzione del mercato nel 1786, su concessione di Ferdinando IV.

Santa Croce fu una delle diverse stationes lungo le strade dei vecchi tratturi, ovvero le transumanze invernali delle greggi che scendevano dai monti dell’Abruzzo e del Molise per raggiungere la Puglia. Il territorio di Santa Croce, per la sua posizione a margine del tratturo Pescasseroli – Candela, è davvero caratterizzato da questa rinomata via della transumanza. Il nome tratturo apparve per la prima volta nel corso degli ultimi secoli dell’impero romano come deformazione fonetica del termine latino tractoria, vocabolo che nei Codici di Teodosio (401-460) e di Giustiniano (482-565), indicava il privilegio dell’uso gratuito del suolo di proprietà dello stato e che venne impiegato per i pastori della transumanza, una delle infrastrutture più importanti percorse e utilizzate dai pastori e dalle loro greggi. Lo spostamento stagionale delle greggi dai pascoli estivi della montagna a quelli invernali in pianura, ha costituito, nella realtà storica, un fenomeno molto complesso che ha interessato diversi aspetti della vita e della cultura: una sorta di migrazione spontanea degli animali che seguivano i pascoli più verdi, fenomeno che caratterizzò l’aspetto rurale e pastorale dell’antico popolo dei Sanniti.

Grande via di passaggio delle greggi, per lo sverno, dall’Abruzzo aquilano e dai pascoli dell’Appennino sannitico giù nella pianura pugliese e oltre, verso la Calabria; in Sicilia è chiamato trazzera. Si tratta di larghe piste, con fondo naturale, terroso o pietroso, demarcate dalle greggi nel loro periodico spostarsi; hanno larghezza di 3-4 m circa, a seconda delle regioni e delle condizioni del territorio attraversato. Sono rappresentate con segni particolari sulle carte topografiche. (Enciclopedia Treccani)

I Romani fecero dei tratturi un vero e proprio sistema produttivo efficiente e strategico, comprendendo l’enorme ricchezza derivante dalla pastorizia: non è un caso che il termine pecunia (denaro) derivi proprio dal latino pecus, ossia pecora. Ignazio Di Marco descrisse il tratturo come un passaggio che “con la sua immensità placava le ansie degli uomini e degli animali e restituiva a tutti tranquillità e sicurezza, sia pure basate sulla lentezza e sul pigro trascorrere del tempo che aveva, come unica variante, il continuo cambiamento di paesaggio e il continuo sole sorgente e sole calante sempre diverso nei più diversi orizzonti e con le più diverse emozioni”. Il Regio Tratturo Pescasseroli – Candela è il secondo in lunghezza tra i Regi Tratturi, subito dopo il Tratturo Magno e nacque come via militare di servizio per le legioni romane da Brindisi a Roma, via Isernia e divenne poi percorso della transumanza dai Monti dell’Abruzzo al Tavoliere delle Puglie e viceversa. Presenta una grande strada verde, con i suoi tratturelli, come svincoli per i centri urbani limitrofi ed è lungo 211 chilometri e largo 55,55 metri. Parte da Campomizzo, a nord del comune di Pescasseroli, nel Parco Nazionale d’Abruzzo e raggiunge il territorio tra il Comune di Candela e quello di Ascoli Satriano. Il tratturo entrava nel territorio beneventano attraversando il passo di Serravessilli, oltrepassando la Murgia delle Fate a sud di San Giorgio la Molara, superando i torrenti Drago e Tammaricchio alle loro confluenze col Tammaro. Il tratto che lambisce Santa Croce del Sannio è certamente la parte meglio conservata, dove ancora le allodole nidificano, e gli agnelli si nutrono del verde pascolo. Meta ideale per passeggiate a piedi o a cavallo, per esplorazioni in bicìcicletta.

E se vogliamo perderci nelle meraviglie naturalistiche di questo piccolo vorgo del Sannio che non conta mille anime, potremmo immergerci nel bosco Realto, in località Coste Martinelli, che ha una superficie di circa 108 ettari. Si tratta di un bosco ceduo di quercia e cerro, accessibile mediante strada interpoderale, nel quale dominano poiane, colombacci, volpi, lepri e cinghiali. Il laghetto Lupardi, invece, è un lago artificiale realizzato ai confini della Zona SIC (sito di interesse comunitario) coincidente con il suddetto bosco, meta ideale per esercitare la pesca sportiva o amatoriale.










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