Pillole dalla zona rossa: fra storia e tradizioni di Pontelandolfo

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Sembra che il conto alla rovescia sia arrivato. Ci chiediamo quando usciremo da questa zona rossa, a dire il vero nessuno di noi ha la certezza che dopo la prossima domenica ne verremo fuori. Ma al più presto qualcosa ci verrà detta e possiamo immaginare di ritornare a una piccola normalità. Piccola, ovvio: perché il liberi tutti è lontano dall’arrivare. Ma fantasticare non costa nulla, e a questo punto io continuo a raccontare. Come in questo caso, di Pontelandolfo, terra di storia e tradizioni.

Foto di Antonio Castellitto

Pontelandolfo si trova in un contesto naturalistico e rurale in cui primeggiano l’aria pura e incontaminata, uliveti e vigneti: un territorio ricco di storia e fascino per il senso di appartenenza a radici vivide di tradizioni e antichi valori, amore per la terra, per la propria cultura, per le proprie origini. L’antica torre baronale ci ricorda le sue memorie leggendarie, e non si sono assopite le memorie delle storie di brigantaggio che interessò il comune sannita, insieme a quello di Casalduni. All’indomani della proclamazione del Regno d’Italia, infatti, furono molti e diversi i territori che appartenevano all’ormai ex Regno delle Due Sicilie nei quali si verificarono costantemente casi di resistenza di matrice filoborbonica contro il neonato Stato sabaudo. Rivolte tumultuose, chiassose, si alzavano polvere e grida, che spesso vedevano come protagonisti semplici cittadini o militari. Uno di questi episodi si verificò il 7 agosto 1861 quando circa 50 componenti della brigata Fra Diavolo occuparono i paesi di Pontelandolfo e Casalduni. Delle due, Pontelandolfo fu vittima di una sorte più inclemente, un destino triste e violento che si abbatté sulla sua gente che fu colpita nel cuore della notte, sorpresa nel sonno, con il saccheggio, la distruzione e l’incendio di case e chiese, e la fucilazione di tante persone. Violenze sessuali, percosse, e infine l’uccisione di molte donne del posto. Anche i bambini furono vittime di cotanta strage, i quali furono arsi vivi nelle loro abitazioni che andavano in fiamme.

Sottolinea la ruralità e l’attaccamento alle tradizioni la pratica della Ruzzola o Ruzzolone, uno sport a cui si interessarono addirittura le pubbliche autorità, vescovi e governatori, che però ne regolamentarono la pratica proibendola nei giorni festivi o nelle immediate vicinanze dei monasteri per non turbarne la quiete. Un gioco molto popolare, seguito però da tutti, gente di campagna, nobili, contadini, autorità, che richiedeva una sana competitività, fatta di forza fisica, destrezza, ma certamente anche di una buona dose di fortuna. Uno sport che praticano coloro che amano la vita di campagna, all’aria aperta, l’ecologia e il rispetto per un ambiente puro e sostenibile, l’aggregazione e la cooperazione. A Pontelandolfo il gioco della Ruzzola viene rappresentato come un momento in cui si dà vita a rappresentazioni mitiche, come il tiro della palla, la lotta, il pugilato che erano e sono considerate fra le rievocazioni ludiche in onore del mitico Ercole. Misurare la forza e l’abilità era non solo sfoggio di vigore e salute fisica, ma anche dimostrazione di benevolenza e protezione del dio Ercole. Qui viene fatta ruzzolare proprio la tipica forma di formaggio, che ha un peso che può arrivare fino ai 18 kg, da piazza Roma fino alla Cappella di San Rocco.









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