Immagini dal Sannio: il culto di San Giorgio con fuochi e “laure”

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In copertina, le “laure” di Mirabello Sannitico. Foto tratta da Turismo in Molise

Il 23 aprile si celebra il culto di uno dei santi più amati e acclamati in Italia, molto venerato nel Molise, patrono di alcuni dei borghi lì presenti.
A seguito della morte del padre, Giorgio si ritirò a Lidda, città della Palestina, impegnando ogni suo bene per aiutare i più fragili e bisognosi. Quando morì la madre si arruolò nell’esercito di Diocleziano, ottenendo grandi consensi, proclami e riconoscimenti. Ma, quando l’imperatore emanò l’editto di persecuzione contro i Cristiani, l’uomo si professò al suo cospetto quale seguace di Cristo. Furono molti i tentativi di persecuzione da parte di Diocleziano, il quale gli fece subire grandi pene, tra le quali sette anni di tormenti di ogni genere. Eppure, più volte fu miracolosamente salvato da morte certa. Si ricordi che visse dopo essere stato tagliato in due da una ruota irta di chiodi, così come risuscitò diciassette morti.
Molto conosciuta è la leggenda di San Giorgio e il drago. A Berito, di tanto in tanto, un orribile dragone usciva dal fondo del lago e si apprestava alle mura della città recandovi la morte col suo alito pestifero. Per tenere lontano tanto flagello, erano sacrificate giovani vittime estratte a sorte; un giorno toccò alla figlia del re. Il sacrificio si stava per attuare quando giunse il cavaliere Giorgio che riuscì a rendere inoffensivo il mostro con un colpo di lancia, liberando dalle fauci la principessa Sirena. Giorgio affermava di aver ucciso il drago in nome di Cristo, perché si convertissero e fossero battezzati. Per questo motivo Diocleziano lo fece giustiziare e il suo corpo fu portato a Lidda e posto in un ricco sepolcro sul quale sorse un tempio consacrato.

A Campobasso il Santo è molto venerato. Nel capoluogo molisano, infatti, il suo culto risale al periodo che intercorre tra il V e il VI secolo, quando i greci giunsero nel Sannio. Tra le motivazioni principali per cui i cittadini di Campobasso ricorsero alla protezione di San Giorgio vi fu quella per cui, nel XIII secolo, i paesi limitrofi si coalizzarono per assediare la città affinché venisse distrutta. Per il popolo divenne molto difficile, se non impossibile, resistere a un impatto così greve e violento e così l’unica salvezza fu quella di raccogliersi in preghiera invocandolo. All’improvviso si sentirono suonare tutte le campane, si udì un cupo fragore di armi e un giovane guerriero apparve alla testa di un esercito: era San Giorgio. Un altro evento fu una terribile tempesta che si abbatté su Campobasso il 9 ottobre 1634 che, soltanto per intercessione del Santo, si salvò. Inoltre, nel 1656 si diffuse una terribile peste la cui fine miracolosa fu attribuita proprio a San Giorgio. Nel 1661 il Santo fu acclamato quale patrono della città e il vescovo di Bojano lo proclamò tale con la bolla del 16 aprile del 1661 che si conserva nell’archivio della cattedrale.
La chiesa di San Giorgio è certamente la più antica del capoluogo, e venne dedicata al Santo nonostante non fosse ancora il patrono della città. Fu eretta sulle rovine di un tempio pagano e risale al sec. XII. È una costruzione a tre navate, da come si evince nitidamente dal modo in cui è scansionata la sua facciata. Ha una semplice ed elegante struttura, con un campanile a pianta quadrangolare. All’interno è presente una cappella dedicata a San Gregorio costruita nel sec. XIV, a pianta quadrata, e una cupola decorata con affreschi risalenti al sec. XIV. Ci troviamo in una zona molto suggestiva della città: da qui, infatti, è possibile ammirare un vasto e bellissimo panorama che abbraccia tutto l’agglomerato cittadino.

San Giorgio è il santo patrono anche di due caratteristici borghi del Molise sannitico: Petrella Tifernina e Mirabello Sannitico.
A Petrella Tifernina si trova una chiesa dedicata che è considerata tra le più belle della regione. Non solo bella, ma elegante. Essa affaccia su una piazzetta: si presenta a tre navate e la tradizione vuole che sia sorta sui resti di un antico insediamento sannita, costruita per volontà del Magister Epidius intorno al 1211. Questa data si ricava da una iscrizione incisa sulla lunetta del portale principale. La facciata è in pietra e la simbologia cristiano/pagana in essa raffigurata fa classificare l’edificio sacro come Biblia pauperum, “Bibbia dei poveri” dato che chi non sapeva leggere, ossia la maggior parte della gente dell’epoca, riusciva a conoscere le Scritture tramite le rappresentazioni figurative, che dovevano risultare le più leggibili e chiare possibile. Le incisioni sono a rilievo a volte piatto, a volte modellato. Sul portale centrale, nella lunetta, vi è una scultura raffigurante Giona inghiottito e poi rigettato dalla balena, prefigurazione della morte e resurrezione di Cristo, un drago e l’Agnello crucifero. Il campanile di epoca medievale, come da tradizione dell’epoca, è staccato dalla chiesa. Ha una pianta quadrata nella parte bassa e ottagonale, con cuspide rivestita in maiolica, nella parte alta. La chiesa è chiusa posteriormente dalle tre absidi corrispondenti alle tre navate interne. All’interno è presente un fonte battesimale monolitico, emisferico, e decorato a bassorilievo girali, foglie e rosette.

All’ingresso della chiesa c’è una pregiata acquasantiera, a forma di conchiglia, sostenuta da una balaustra ad anfora con la parte inferiore di foglie. Il pavimento nel 1700 era in cotto; fu in seguito sostituito da pietra viva.
La cripta di San Giorgio risale al sec. IX-X, ha un ambiente rettangolare e nei tempi più recenti è stata chiamata dagli abitanti “Cantina di San Giorgio” perché adibita, fino a qualche anno fa, a deposito del vino offerto al santo patrono. La chiesa è definita uno dei monumenti del romanico tra i più affascinanti e misteriosi al mondo. Conserva contributi dalla cultura bizantina, da quella dei longobardi fino ai normanni. La grandezza dell’edificio e alcuni simboli particolari lasciano immaginare un ruolo strategico della chiesa lungo il tragitto percorso dai pellegrini verso San Michele Arcangelo, in provincia di Foggia, e la Terra Santa.

Petrella Tifernina, interno della chiesa di San Giorgio martire.
Foto di Maria Marinelli

A Mirabello Sannitico, invece, il 23 aprile vi è la tradizione di alcuni fuochi che vengono accesi per dare l’immagine di un incendio, conosciuti col nome dialettale laure. Il culto di San Giorgio trae origine dal momento in cui gli abitanti furono costretti a difendere più volte il proprio territorio da incursioni nemiche. Durante una di queste battaglie, Dio mandò in aiuto al popolo un cavaliere coraggioso che giunse su un cavallo bianco dal colle che poi prese proprio il nome di Colle di San Giorgio. Il Santo riuscì a trasformare, miracolosamente, tutti i vigneti del colle in un esercito di valorosi soldati, che mise in fuga gli avversari. Infine, non rimase alcuna traccia dell’esercito, ma sul colle comparve la sua statua, che da allora divenne patrono del borgo.
Le sere del 16 e del del 23 aprile Mirabello si illumina con dei fuochi come se fosse divampato un grande incendio che colpisce l’intero paese. Secondo la tradizione locale, l’origine dei fuochi viene collegata proprio all’apparizione di San Giorgio che liberò il paese dall’assalto delle soldatesche. La cerimonia che si svolge il giorno della celebrazione è da ricollegarsi ai riti antichi dell’accensione di fuochi presenti anche in altri paesi del Molise. Centinaia le pire che vengono accese sia nel centro abitato che in tutto l’agro del territorio di Mirabello, fuochi che creano uno spettacolo molto suggestivo. L’accensione avviene di sera, poco dopo l’imbrunire, e si protrae a lungo nelle strade del paese e nei pressi di tutti i casolari disseminati nelle campagne. Tra questi fuochi, anche i falò preparati dal comitato nelle vicinanze della chiesa del Santo.
Il 23 aprile, giorno della festa patronale, si svolgono due processioni: nella prima si conduce per le vie del borgo la statua custodita nella chiesa di Santa Maria Assunta. Durante la seconda, invece, si porta in processione il reliquiario a braccio di San Giorgio. Si tratta, fra l’altro, del giorno giusto per mangiare la pigna, dolce tipico fatto a base di latte, farina, uova, olio e zucchero, con un uovo sodo, simbolo di prosperità e rinascita, ricoperto di bianco d’uovo e confettini.









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