Immagini dal Sannio: storia e tradizioni dei borghi del ‘Festival del racconto’ molisano

postato in: Immagini dal Sannio | 0
Condividi articolo
Trivento, la scalinata di San Nicola, foto della Pro Loco Terventum

Un narratore ambulante in “una terra chiamata Molise”: questa l’atmosfera da sogno, intrisa di cultura, storia e tradizioni, che dallo scorso luglio si respira nella piccola regione appenninica, in un appuntamento a cadenza settimanale che si concluderà il prossimo 3 settembre e che ha toccato sei comuni molisani. Una mission di promozione turistica, a firma dell’associazione culturale campobassana Il villaggio della cultura, che ha previsto sei percorsi in altrettanti comuni molisani durante i quali sono state promosse visite guidate immerse nelle bellezze locali, nell’arte, nel sapere, nella cultura. I comuni interessati hanno tutti una grande valenza turistica. Ve li descrivo in pillole, uno a uno, scegliendo di ognuno una caratteristica. Sono sei dei tanti comuni del Sannio Pentro che ci parlano di turismo lento, turismo accogliente, turismo esperenziale. In ogni caso, di quel turismo sostenibile, a portata di uomo, che riguarda i piccoli e medi centri dell’entroterra, 

Macchia Valfortore – Piccolissimo comune che conta poche centinaia di abitanti, il paese fortorino si estende sulle rive del lago di Occhito, uno dei bacini artificiali più grandi d’Europa, situato lungo il confine geografico tra il Molise e la Puglia. Viene annoverato tra i più antichi borghi molisani, sorge su una collina circondata da uliveti secolari, nel bel mezzo della vallata, dove il fiume Fortore forma il grande invaso. Un paese a rischio spopolamento, ma con buone potenzialità per lo sviluppo di un turismo lento. Un luogo unico nel suo genere, romantico, suggestivo, in cui poter scoprire una tradizione e una cultura che affonda le proprie radici nella notte dei tempi. Immerso in uno spazio naturalistico considerevole, il lago di Occhito presenta una superficie di circa 1300 ettari e una capacità di 333 milioni di metri cubi d’acqua e rappresenta il secondo invaso artificiale più grande del continente. Otto i paesi che si affacciano su questo specchio d’acqua, cinque nella provincia di Campobasso (oltre a Macchia Valfortore, ci sono Gambatesa, Pietracatella, Sant’Elia a Pianisi e Tufara), tre nella provincia di Foggia (Carlantino, Celenza Valfortore, San Marco la Catola). Il lago di Occhito è una vera e propria oasi di pace, in cui è possibile rilassarsi con scampagnate, passeggiate lungo i sentieri a contatto con la natura incontaminata o, per chi ama andare a cavallo, cavalcate lungo l’ippovia. L’invaso, nonostante sia di origine artificiale, è lentamente in fase di rinaturalizzazione assumendo le caratteristiche di una zona umida, le cui acque richiamano diverse specie di uccelli acquatici, quali il germano reale, l’alzavola, il fischione, la folaga e lo svasso maggiore. Con molta facilità, è possibile osservare gli aironi e molto comune è il cormorano. Si segnalano anche diverse specie di uccelli nidificanti, quali il nibbio, il nibbio bruno, il lanario, e la variopinta ghiandaia marina. L’habitat è ideale per rare specie di anfibi, come la rana appenninica e il tritone italiano. Tra i mammiferi, infine, è da rilevare la presenza della rarissima ed elusiva lontra. Il lago ospita una più che ricca biodiversità ittica, tra le quali carpe, tinche, anguille, alcune delle quali raggiungono dimensioni notevoli.

Jelsi – Piccolo borgo in provincia di Campobasso disteso su un colle, tra i monti del Sannio e la Valle del Tappino, tra folti e verdi boschi e antichi insediamenti rurali, Jelsi è testimonianza della civiltà sannitica e ha una tradizione tutta particolare per celebrare il grano, in segno di devozione a Sant’Anna. Parliamo della Sagra delle Traglie che si svolge nel borgo molisano proprio il giorno 26 luglio, data in cui si celebra la ricorrenza della Santa Madre della Vergine Maria e protettrice delle partorienti. La tradizione vuole che la festa abbia avuto origine da un voto solenne che il paese tributò a Sant’Anna come segno di ringraziamento per la particolare protezione ricevuta in occasione del disastroso terremoto del 1805, quando tutta la regione del Molise sussultò, facendo salvare solo l’abitato di Jelsi. La festività del 26 luglio venne solennizzata con l’offerta votiva del grano, che assunse un notevole valore scenico accanto a quello propiziatorio, dopo un temporale che, nei giorni 24 e 25 luglio del 1814, si abbatté su Jelsi. Il rito dell’offerta del grano via via si è modificato e ha visto sempre più l’intera partecipazione del popolo, anche nella realizzazione di spontanee scenografie. Inizialmente si trattava solo del conferimento e del trasporto dei covoni di grano, che poi cominciò ad avvenire con i carri di legno, la cui forma ricorda una slitta. Ecco, si tratta delle cosiddette traglie, mezzi di trasporto particolari, privi di ruote, che vengono trainati da buoi o da mezzi agricoli, sui quali sono raffigurate scene di vita contadina, momenti di vita religiosa, fatti di attualità. In passato, il contadino raccoglieva i covoni nella sua campagna e li metteva su questo mezzo di trasporto quale offerta alla Santa, sfilando in processione lungo il corso del paese fino a depositarli sull’aia a lei dedicata. Il carico veniva addobbato con qualche treccia di grano e un quadro raffigurante sant’Anna, che era messo in cima, incorniciato da lavori fatti in paglia, chiamati pëlommë. La scelta del grano, quale pegno dell’offerta e materia da plasmare per le decorazioni, ha carattere chiaramente simbolico: esso, infatti, rappresenta il ringraziamento, l’offerta alla divinità del frutto prezioso della terra. Il grano rappresenta la fertilità dei terreni, il duro lavoro nei campi, la fatica di chi vive dei prodotti della terra, l’attesa del bel tempo contro le avversità climatiche che potrebbero vanificare il raccolto.

Agnone – È chiamata l’Atene del Sannio, perché nel suo territorio, nel corso dell’800, si sviluppò un alto numero di menti colte: medici, filosofi, giuristi, teologi. “Suono di campane, voce che trasvola sul mondo, canto che piove dal cielo sulla terra, nella città sorda e irrequieta, e nel silenzio dei colli”. Cito Gabriele D’Annunzio perché è semplice, parlando di Agnone, associarla all’arte campanaria, tradizione che si tramanda da secoli e secoli. La Pontificia Fonderia Marinelli è una vera e propria istituzione in campo artigianale ed è probabilmente il più antico stabilimento oggi ancora esistente al mondo per la fabbricazione delle campane, che comunque venivano prodotte sin dall’antichità. Ad Agnone, già da prima del 1200, quest’arte viene tramandata di generazione in generazione. Certo è che un tale Nicodemo Marinelli campanarus nel 1339 fuse una campana di circa due quintali per una chiesa del Frusinate. Tecniche antiche, manuali, persistono ancora ora: i proprietari della fonderia non si sono mai voluti discostare da questi metodi di lavorazione. Agnone è anche città del rame, e qui troviamo il Museo Storico del Rame di Francesco Gerbasi, ove dei filmati mostrano la maestrie di abili artigiani del passato che, senza le amiche tecniche odierne, riuscivano a creare opere d’arte, oppure oggetti della loro quotidianità, con le loro leggiadre mani. Una produzione che diveniva molto intensa nel periodo invernale, in cui venivano prodotti i manufatti che poi si vendevano nelle fiere estive. Grazie ai lunghi tratturi e alla transumanza, il rame agnonese riuscì a raggiungere i mercati di Puglia e d’Abruzzo. Una tradizione fiorente fino a che i manufatti non vennero soppiantati da quelli delle fabbriche settentrionali, meno costosi, perché godevano della produzione in serie ed erano maggiormente rifiniti. Ad Agnone, ancora oggi, col rame si producono tine per l’acqua, bracieri, piatti ornamentali, mestoli e altri utensili sagomati con gusto antico. Protetto dal Ministero dell’Ambiente, c’è un sito naturalistico molto apprezzato e rinomato, con un impatto molto vivo e interessante dal punto di vista paesaggistico. Parlo delle cascate del Verrino, in cui gli spettacoli che l’acqua crea hanno un notevole interesse dal punto visivo, poiché essa fluisce lungo tratti molto impervi, facendo salti su imponenti dirupi e formando delle cascate particolarmente suggestive.

Roccamandolfi – È un comune in provincia di Isernia da visitare almeno una volta, vera e propria perla nel cuore dei monti del Matese, tutta da ammirare, esplorare e scoprire. Un luogo pittoresco, fra boschi e natura, il cui borgo si presenta con case arroccate intorno alla chiesa, portici, fontane e vicoletti ancora nella loro versione più antica. Aria pura, natura incontaminata in questo paese caratteristico per la possibilità di praticare sport quali trekking, torrentismo, sci nordico e camminate. Gli amanti delle lunghe passeggiate, infatti, possono intraprendere un percorso molto particolare e suggestivo che parte dal castello longobardo e, passando lungo un tragitto naturalistico, caratterizzato da sentieri montuosi, boschi e ruscelli, arriva fino al caratteristico Ponte Tibetano, un piccolo, grande capolavoro di ingegneria e carpenteria metallica sospeso nel vuoto sul paesaggio roccioso caratterizzato dal Canyon scavato dal fiume Callora. Questo ponte, ultimamente molto gettonato anche da personaggi famosi che, nel periodo pandemico, hanno scelto il turismo di prossimità dei piccoli borghi, come quelli molisani, consente ai più avventurosi di provare il piacere adrenalinico del brivido del vuoto, con un cammino da percorrere ad alta quota, circondati dalle pareti rocciose. Roccamandolfi è ricordata anche per la sua storia, soprattutto risorgimentale, che la lega al fenomeno del brigantaggio. A distanza di pochi chilometri in linea d’aria, vi sono diversi circhi glaciali matesini, con un’attività sicuramente precedente all’ultima glaciazione: uno di questi sfocia nella Valle Fondacone che è caratterizzato da un fascino unico, con la forra a strapiombo sul nevaio, e i suoi due Campanarielli, due guglie collegate fra loro da uno strettissimo valico: il Campanariello di Monte e il Campanariello di Valle, quest’ultimo più aereo e sottile.

Agnone, museo della Fonderia Marinelli

Trivento – Trivento si trova in provincia di Campobasso ed è un piccolo comune così chiamato perché esposto ai venti dell’est, del sud e del nord, per cui ai tre venti. A trionfare in questo borgo è la pietra, di cui è realizzata ogni cosa: dalla fontana monumentale alla grande e magnifica scalinata a tre corsie, la cui centrale è molto ampia rispetto alle due laterali. Si tratta della scalinata di San Nicola, formata da ben 365 gradini, e pare che ognuno stia lì per ogni giorno dell’anno. La scalinata conduce alla parte alta del borgo e collega la piazza al centro storico, circondata dagli edifici più importanti del paese e da sempre considerata una delle più belle gradinate di tutto il Molise. Il primo nucleo del paese si chiamava Terventum e fu abitato dai Sanniti e poi colonizzato dai romani dopo le guerre sannitiche nel III secolo a. C.. Fece parte della Regio IV sotto il governo di Augusto e nel Medioevo, già nel VI secolo, vide la costruzione della primaria cattedrale. Trivento è un piccolo borgo che ha molto da mostrare ed è noto anche per essere “la città dell’uncinetto”, vanto del Molise. Nel luglio 2018, lungo la scalinata di San Nicola, fu esposto il tappeto fatto in uncinetto più lungo del mondo, realizzato interamente a mano dal lavoro delle uncinettine del paese e da gruppi di crochet che provenivano dal vicino Abruzzo ma anche dalla Germania, dal Belgio, dai Paesi Bassi e addirittura dal lontano Messico. Il tappeto aveva la lunghezza di 650 metri ed era realizzato con granny square 1×1mt e, dopo l’esposizione, fu venduto e il ricavato devoluto in beneficenza. Trivento a Natale espone anche un ormai famosissimo e multicolore albero in uncinetto, sempre con tecnica granny square, che apporta in paese un enorme afflusso di turisti.

Campobasso – Se facciamo una bella passeggiata a piedi nell’elegante centro storico di Campobasso, cuore pulsante di storia, tradizioni e vita del Molise, di cui è capoluogo, possiamo arrivare fino sopra a un’altura rocciosa, a ben 790 m.s.l.m., dove sorge il Castello Monforte, così denominato perché la sua edificazione viene attribuita al conte Nicola II dei Monforte – Gambatesa, detto Cola, nel 1459. Secondo alcuni il maniero è di origine normanna, costruito in pietra in sostituzione di una torre lignea longobarda, anche se una pergamena del 1375 menziona per la prima volta l’esistenza del fortilizio. Il castello si presenta ancora oggi come un massiccio quadrilatero con alti torrioni circolari, merlature guelfe e il mastio. Poche sono le finestre e anche di piccole dimensioni, vere e proprie feritoie, adatte proprio all’utilizzo dell’edificio ad avamposto militare. Sul portale del castello si può ammirare lo stemma della famiglia Monforte, rappresentato da una croce con quattro rose. Alcune credenze popolari raccontano che uno dei locali delle segrete abbia avuto la funzione di sala delle torture e che da qui partiva un passaggio segreto, oggi murato, che scendeva lungo il fianco della collina arrivando sin fuori il borgo. Si racconta, ancora, che passando per una porticina posta sul lato nord del maniero si potesse accedere a un sottopassaggio che lo collegava a una collina, chiamata tutt’oggi di San Giovannello, fuori dal centro cittadino. Questo sottopassaggio veniva utilizzato come via segreta per una eventuale fuga dal nemico. Tradizione artigianale campobassana è quella della lavorazione del ferro battuto, che nella città capoluogo ha origini antiche ed è testimoniata dalle opere di arredo pubblico e privato eseguite dai maestri Tucci. Girando nel capoluogo molisano non si può non notare la maestria, la bellezza e la grande classe dell’arredo urbano in ferro battuto. Un’arte che ancora oggi viene praticata in alcune botteghe. A Campobasso, negli anni Venti e Trenta, la scena fu dominata proprio dalla figura della famiglia Tucci. Cancellate, recinzioni, panchine, lampioni, sono tutte opere realizzate con la sapiente maestria di questi bravissimi artigiani. Eppoi il Sacrario di Castello Monforte e i balconi di Palazzo Grimaldi o del Teatro Savoia, il reggicero pasquale della Cattedrale, il cancello del Municipio, il lampione esterno di Villa de Capoa, la Cappella Fago del cimitero comunale e tante altre preziose testimonianze che si possono scoprire nel capoluogo del Molise. Le lame di Campobasso, invece, sono soltanto un ricordo perché Carlo III di Borbone ne proibì la produzione, tanto che le numerose botteghe che si allineavano lungo il Borgo dei ferrari, oggi via de’ Ferrari, trasformarono la lavorazione delle lame e dei pugnali in quella meno bellicosa e più domestica dei coltelli, delle forbici e dei rasoi.









Print Friendly, PDF & Email