Immagini dal Sannio: Alfonso Maria de’ Liguori, il vescovo santo di Sant’Agata de’ Goti

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Francobollo celebrativo di Sant’Alfonso Maria de Liguori

Non può mancare, ogni anno, durante la messa della notte di Natale o in quelle che la precedono, ma anche nelle commoventi recite natalizie, Tu scendi dalle stelle, uno dei canti più popolari e amati da grandi e piccini, che altro non è che la versione italianizzata della napoletana Quanno nascette Ninno, composta nel 1754 da Alfonso Maria de’ Liguori, grande sacerdote ma anche notevole musicista e compositore, nonché il primo ad avere osato a introdurre il dialetto napoletano in un canto religioso. Sant’Alfonso fu Dottore della Chiesa e fondatore della Congregazione Redentorista, vescovo di Sant’Agata de’ Goti dal 1762 al 1775, titolare di una diocesi di fondazione antichissima.

Nacque da nobile famiglia il 27 settembre 1696 a Napoli. Sin da giovanissimo eccelse nella musica, nelle scienze, nelle lingue, anche se intraprese gli studi di diritto, laureandosi appena ventenne e iniziando presto la carriera di avvocato. Eppure, la mondanità e gli affari non facevano per lui. Alfonso aveva un cuore candido e puro, e facilmente si scandalizzava al cospetto di falsità e inganni, quelli che imparava via via a conoscere nelle aule dei tribunali che frequentava per lavoro. Ecco il motivo principale per cui decise di abbandonare la toga e indossare la tonaca, facendosi ordinare sacerdote nel 1726. Inizialmente fu mandato ad Amalfi e proprio lì, in Costiera, dopo un importante incontro con alcuni Pastori, si convinse a farsi apostolo tra i poveri, emarginati ed esclusi. Con questo scopo nel 1732 a Liberi, nella diocesi di Caiazzo, creò la Congregazione del SS. Salvatore, poi approvata da papa Benedetto XIV come Congregazione del SS. Redentore. Scrisse oltre un centinaio di opere di meditazione e di ascetica, conseguendo una popolarità immensa.

Fu Papa Clemente XIII a designarlo presso la diocesi di Sant’Agata de’ Goti, come vescovo, nel 1762. Alfonso però non voleva, si sentiva troppo anziano e non intendeva assumersi una responsabilità simile. Eppure accettò. Una volta arrivato nella cittadina sannita restò impressionato da ciò che vedeva e udiva. Era molto diffusa la pratica della bestemmia, vi era un elevato numero di prostitute, e vide molta miseria tra i contadini oltre che tanta corruzione nel clero locale. Parlò di Sant’Agata come “città infetta” e subito si ripromise che tutto sarebbe cambiato e che lui stesso sarebbe riuscito nell’intento. Partì da una profonda riforma della diocesi, imponendo ai preti l’obbligo, durante la confessione, di usare con i peccatori dolcezza e non durezza; ricostituì il seminario smantellando qualsiasi alleanza esistente, dette nuove regole ai monasteri femminili facendo arrivare in paese alcune suore redentoriste; creò opere sociali e associazioni dedicate a zitelle, sacerdoti e bambini. La cosa più evidente e più importante fu che tutti i cittadini di Sant’Agata cominciarono ad amarlo soprattutto per la generosità con cui si prodigava a far fronte alle necessità e ai bisogni di una popolazione indigente e molto bisognosa.

Quando nel gennaio 1764 il Regno di Napoli fu colpito da un tremenda carestia, Alfonso corse subito ai ripari, prima che fosse troppo tardi. Già qualche mese prima, vedendo una fila di mendicanti, fece riempire di cereali e legumi il palazzo episcopale, in modo che quelle provviste tornassero utili quando il pane avrebbe scarseggiato. Al palazzo episcopale iniziarono a presentarsi 500 persone al giorno e il vescovo si rese conto di essere riuscito nel suo buon intento. Egli, dunque, fece tutto ciò che poteva per limitare le sofferenze della popolazione sannita, e non solo con la predica: vendette addirittura la propria carrozza, l’anello vescovile, la croce pettorale in oro e le posate di argento di sua proprietà. Grazie al suo impegno, ottenne che fosse calmierato il prezzo del pane e favorì misure per rilanciare l’economia di Sant’Agata e dintorni. Costituì, inoltre, la bellissima chiesa dell’Annunziata in una chiesa parrocchiale per le popolazioni rurali della campagna santagatese. Ormai tutti lo adulavano, lo ringraziavano e lo amavano e la sua fama di santità crebbe a vista d’occhio tanto che addirittura gli vennero attribuiti numerosi miracoli.

Quando la sua salute peggiorò, già dal 1767, sentiva di non riuscire più a risiedere in città e nel 1775, dopo dodici anni alla guida della diocesi di Sant’Agata, chiese le dimissioni dal suo incarico, in quanto ottantenne, malato, stanco, ingobbito da una dolorosa artropatia deformante e quasi del tutto cieco: si ritirò nella casa dei confratelli a Nocera de’ Pagani, in provincia di Salerno, dove morì il 1° agosto 1787. Venne beatificato già nel 1816 e canonizzato nel 1839, mentre papa Pio IX nel 1871 lo proclamò “Dottore della Chiesa”, titolo che viene concesso a chi ha mostrato particolari doti di illuminazione della dottrina, finora attribuito solamente a trentasei santi. Anche Benedetto XVI gli dedicò un’intera udienza nel 2011, affermando che “ha dato importanza agli affetti e ai sentimenti del cuore, oltre che alla mente, per poter amare Dio e il prossimo“. Nel 1923 nella piazza principale di Sant’Agata de’ Goti, davanti al palazzo vescovile, fu collocata una statua marmorea altra tre metri raffigurante l’amato Santo, mentre all’interno del palazzo vescovile, in un’ala del museo diocesano, vi sono ancora oggi le stanze abitate da Alfonso, il cunicolo dove si dedicava alla preghiera, la sua cattedra vescovile, scritti autografi e libri letti dal Santo, i testi dei processi di beatificazione e canonizzazione, un reliquiario. Nella città di Sant’Agata de’ Goti ogni anno, dal 28 luglio al 1 agosto, anniversario della sua morte, si celebra Sant’Alfonso con una solenne festa.

Statua di Sant’Alfonso davanti al palazzo vescovile di Sant’Agata, foto di copertina d’archivio

Sulla data di composizione del canto natalizio Tu scendi dalle Stelle sembrano essere tutti d’accordo; riguardo al luogo dove Alfonso Maria de’ Liguori l’avrebbe composta, invece, questo accordo non c’è. Da una parte si dice che Sant’Alfonso avrebbe composto il brano a Deliceto, in provincia di Foggia, nel convento della Consolazione. Secondo un’altra linea di pensiero, pare che l’avrebbe composto a Nola dove si recò per un ciclo di predicazioni nella casa di don Michele Zambaldelli. Si tratta sicuramente di uno dei classici canti di Natale della tradizione italiana, forse uno dei primi canti che si imparano da piccoli e che rimangono nel cuore. Tu scendi dalle Stelle è detta anche Pastorale per la sua melodia legata principalmente al suono della zampogna dei pastori abruzzesi durante la transumanza, e nel corso degli anni ha subito diversi arrangiamenti, rimanendo comunque fedele alle sue linee iniziali. Un testo formato da strofe di sette versi ciascuna, scritto con parole semplici che raccoglie insieme il racconto della storia della nascita di Gesù, pietà, tenerezza e devozione popolare al Bambino, e la teologia che ci spiega che questo bambino è nato in vista della propria morte in croce per noi e per la nostra salvezza e che non è stato così tanto amato e rispettato come lui invece ha fatto con noi. Le sue origini sono antichissime e il testo, come già detto, è l’italianizzazione di Quanno nascette ninno. In origine il canto si chiamava Per la nascita di Gesù e così fu pubblicato nel 1816. Tu scendi dalle stelle, così descrittiva, così poetica ed emozionante, è considerata pura teologia in musica.









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