Il Pazzariello e il Banditore, figure tra città e campagna

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Totò nel film “L’oro di Napoli” offre una magistrale rappresentazione della figura del “Pazzariello” elevando questo personaggio, tipico della città, a maschera di costume non solo partenopea ma nazionale.
“O pazzariello” com’è conosciuto presso i napoletani, era una figura molto diffusa e caratteristica della Napoli di fine Settecento, arrivato nel tempo alla prima metà del ’900; il suo “lavoro” era fare la pubblicità per le attività commerciali proprie del quartiere, di vecchia e nuova istituzione.
Il Pazzariello veniva incaricato, soprattutto, per le inaugurazioni di nuove attività, dove accompagnato da un “concertino” composto da tamburini, putipù, scetavajasse e triccheballacche,
annunciava l’apertura dei nuovi negozi circondato da uno stuolo di ragazzini festanti, declamando proclami, volutamente esagerati, per propagandare la bontà dei prodotti messi in vendita e l’affidabilità dei venditori.

“Uommene e femmene, gruosse e piccerille, nobele e snobele, ricche e puverielle, int’’o vico s’è aperta una cantina nova, attaccata a ‘o pustiere, de rimpetto a ‘o pizzaiuolo, addò se venne ‘o vino ‘e Gragnano, e ‘o russo d’’o Vesuvio a duie grana ‘a caraffa” attenzione, battaglione, è asciuto pazzo ‘o padrone”.
“Battaglio’, scapucchio’ e’ uscito pazzo ‘o padro’, è una brava persona, è padrone di una pasta di sostanza quando l’avrete mangiata vi riempirete gli intestini e la panza”.
Il Pazzariello napoletano possiamo considerarlo come un antesignano degli spot pubblicitari, che ricorda molto la figura del “banditore” diffusa in tutti i paesi fino all’avvento della televisione e della pubblicità veicolata dai mass-media.


Il banditore nei secoli passati, assumeva un ruolo indispensabile, data la mancanza di qualunque mezzo di informazione, le persone usufruivano di questo servizio: i commercianti, in genere, promuovevano la loro merce tramite il banditore, spesso, pagandolo in natura, con frutta, verdura, o con altri generi che lo stesso pubblicizzava.
All’incirca, fino, al primo sessantennio del secolo scorso, ogni paese aveva il suo banditore, cioè colui che “buttava” il bando: il banditore era un dipendente del Comune, spesso addetto a varie mansioni (acquaiolo, camposantaro, ecc…).
L’ espressione “buttare il bando” stava a significare il divulgare alla cittadinanza, girando per le vie del paese, avvisi, ordinanze, disposizioni, leggi, notizie ed informazioni che interessavano l’intera collettività.
Il banditore, pur essendo un dipendente comunale, spesso offriva i suoi servizi anche a privati, commissioni che gli venivano pagate a parte o ricompensate, a volte, con la stessa merce propagandata: questi riceveva l’incarico di “propagandare” le merci in vendita, generalmente da negozianti, ambulanti o altri.

La mia prima e forse “sola” esperienza di un “bando buttato” risale al 1969, quando avendo accompagnato un noto commerciante di scarpe telesino nel paese di Pietraroja fui richiamato dal suono assordante di una trombetta e dalle urla di un anziano signore che, all’imbrunire, quando si era certi che le famiglie, soprattutto quelle dei contadini, erano rientrate a casa dalla campagna annunciava per le vie del borgo: “Jettate e scarpe vecchie, accattate e scarpe nove, è arrivate G…….”.









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