Carnevale nel Sannio, dolci e tradizioni gastronomiche della festa più allegra dell’anno

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Nel Sannio beneventano e in quello molisano, il Martedì Grasso si mangia tanto, fino a scoppiare. Se è vero che il Carnevale è la festa più colorata e allegra che ci sia, la pancia deve prepararsi a contenere grandi porzioni di cibo. Un tripudio di sapori e aromi, prima del periodo di magro che segna la Quaresima. E così, dal giovedì grasso fino al martedì di Carnevale, prima che il mercoledì delle Ceneri ci imponga un rigoroso digiuno penitenziale, le cucine sannite sono veri e propri laboratori di arte culinaria. In molte zone sannite, tradizione carnevalesca del martedì grasso e del sabato santo, è quella della lasagna, solitamente farcita di uova, formaggi e carne. Polpettine o salsiccia tritata, poco importa: essenziale è che sia rossa, e rigorosamente fatta in casa. Dove non è presente la lasagna ci sono, solitamente, gli gnocchi al sugo: alla sorrentina o al tegamino, di solito vengono preparati anche per la forma rotonda, simile a quella dei coriandoli.

A Castelvenere, borgo nel cuore del Sannio beneventano, il comune più vitato della Campania, la Scarpella è il piatto tipico di carnevale, con lo stesso impasto di una pastiera salata ma che può essere preparata anche con pasta corta, bianca, in forno, condita con i prodotti tipici della dispensa contadina di queste zone: salsiccia secca, formaggio vaccino fresco, formaggio stagionato grattugiato, uova sbattute e olio rigorosamente extravergine di oliva. Un piatto di cui non si conosce l’origine, la cui particolarità sta nel fatto che di casa in casa variano le proporzioni degli ingredienti, i formati della pasta utilizzata e a volte le modalità di cottura. Piatto gustosissimo abbinato al vino rosso tipico del paese, la Camaiola. Altra presenza gastronomica sulle tavole sannite, che ritroveremo anche nel periodo pasquale, è la pastiera salata, una sorta di timballo di spaghetti o linguine, burro, parmigiano e pecorino, uova, e pezzettini di salame e salsiccia secca.

Dolci in quantità sulle tavole carnevalesche sannite, questo è sicuro. Le scorpelle sono dei tipici dolci del Carnevale della tradizione molisana, molto rinomati anche nella cittadina di Morcone. Vengono chiamate anche cartellate e sono molto semplici negli ingredienti, anche se è richiesta una buona manualità nella costruzione della “rosetta” con le varie strisce di pasta che la compongono. Le scorpelle richiamano molto le zeppole di San Giuseppe. Fatte di farina, uova, strutto, vino bianco, scorza di arancio e olio per la frittura, sempre rigorosamente extravergine di oliva, sono ottime da gustare con il prelibato miele sannita. Regina delle tavole molisane è la cicerchiata, la cui etimologia riporta alle origini medievale della cicerchia, un legume simile a piselli o ceci, dolce riconosciuto come P.A.T., per l’Abruzzo, le Marche e il Molise, ma diffuso anche in altre regioni. È molto simile agli struffoli napoletani, il dolce natalizio dalle palline un po’ più grandi rispetto alla cicerchiata. Le sue origini sono sangritane, grazie allo sviluppo dell’apicoltura che permette di avere miele di ottima qualità. Alcuni sostengono che le sue origini siano marchigiane o umbre.

La graffa è una tradizione tutta partenopea. Nasce a Napoli, ove è regina dello streetfood, ma la sua notorietà e la sua bontà, si sono diffuse in ogni angolo d’Europa. Molto probabilmente il suo antenato è il krapfen austriaco, ideato da Cecilia Krapf, cuoca alla corte d’Asburgo e Vienna. Ecco l’assonanza col nome graffa. A Napoli, nel periodo austriaco, evidentemente i napoletani, che si sono sempre distinti in fantasia ed estro creativo e culinario, riadattarono la classica ricetta. Farina, burro e uova accomunano il krapfen e le graffe, ma quest’ultima nell’impasto prevede anche la presenza di patate, che ne donano una caratteristica sofficità. Il krapfen, tra l’altro, viene passato nello zucchero a velo, la graffa, invece, nello zucchero semolato appena cacciato dall’olio bollente. Nel beneventano, ovviamente, un goccio di liquore Strega nell’impasto non manca mai.

Il Sannio lascia degustare anche le frittelle veneziane, che provengono proprio dalla città patria del Carnevale, ma in particolar modo il migliaccio e i ravioli dolci. Il migliaccio è un piatto tipico della tradizione carnevalesca campana, e nei comuni della Valle Caudina consiste in una specie di polenta cotta al forno o fritta, nelle varianti dolce e salata. La prima è la variante povera della sfogliatella napoletana, tanto che si avvicina molto, come sapore e consistenza, proprio al ripieno della sfogliatella. Ecco perché in Valle Caudina il migliaccio viene chiamato sfogliata. Pochi e semplici gli ingredienti che lo compongono. Anticamente veniva utilizzato il miglio, mentre oggi, per la preparazione di questo dolce, viene usato il semolino. Gli altri sono la ricotta, le uova, la scorza d’arancio e lo zucchero. Alcune varianti prevedono invece l’essenza di fiori d’arancio e/o il rum. I ravioli dolci, invece, sono dei gusci croccanti con una base simile alla frolla che custodiscono farciture sempre differenti, come marmellata, crema, cioccolato, ricotta. Al forno o fritti, l’importante è che non manchi mai la ricotta, ingrediente essenziale, purché secca. Anche in questo caso, un tocco di liquore beneventano non guasta.

Le chiacchiere, foto di Davide Zambelli

Le chiacchiere sono golose strisce dentellate, che richiamano la forma dei nastri o delle stelle filanti carnevalesche. Non sono dolci tipici sanniti, anzi, le troviamo sulle tavole di tutta Italia, preparate seguendo ricette molto simili, a dispetto dei molti appellativi dialettali. Frappe oppure bugie, sfrappole, cenci, crostoli, pampuglie, ma anche galani e lasagne: questi sono i tanti i nomi che indicano una delizia unica nel suo genere. Le castagnole sono dolcetti a forma sferica, che spesso vengono mangiati assoluti, altre volte con un ripieno alla crema, che hanno gli stessi ingredienti delle chiacchiere. Le castagnole beneventane hanno l’ovvio tocco magico che è il liquore Strega. La loro forma richiama molto quella dei coriandoli del Carnevale. La provenienza è emiliano – romagnola e prendono il nome dalla caratteristica forma affine a quella delle castagne. Diffuse in particolar modo nel periodo che va dall’Epifania al martedì grasso, anche le castagnole hanno nomi differenti in base alle zone geografiche di produzione e/o consumo. Infine, le rosacatarre o rosachitarre e i caragnoli. Le prime sono dolci fritti tipici di natale e carnevale del Molise. Somigliano a delle roselline e possono ricordare le carteddate pugliesi. L’impasto viene tagliato a strisce e arrotolato su se stesso in modo da prendere la forma di una rosellina. Dopo essere state fritte vengono intinte nel miele. Anche i caragnoli, volgarmente detti Caragnol, sono caratteristici dolci molisani, sia del periodo natalizio che di quello carnevalesco. Sono delle ghiotte frittelle a forma di elica ricoperte di miele.









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