Oggi facciamo un giro in Valle Telesina, nell’entroterra del Sannio beneventano, in un piccolo borgo circondato da colline ricche di vigneti e di uliveti, famoso tra l’altro per le sue cantine tufacee, nel cui interno la temperatura e l’umidità si mantengono sempre costanti, per cui sono considerate il luogo ideale per la vinificazione e la conservazione del vino. E il vino è il motore di Castelvenere, questo piccolo e antico centro agricolo conosciuto come il paese più vitato della intera Campania, se non del Sud Italia, e che punta la sua economia su vigneti e agricoltura. Non solo: Castelvenere è ai più nota grazie a San Barbato, vescovo di Benevento responsabile della diffusione del Cristianesimo tra la popolazione dei Longobardi. Fu lui ad abbattere il mitico Noce del capoluogo sannita, intorno al quale si riunivano le streghe per compiere riti magici.
Alcune ipotesi legano il toponimo all’esistenza di un tempio dedicato a Venere, mentre sembra più probabile che il termine Venere, nome con il quale il paese è stato appellato fino a tutto il XVI secolo, rappresenti l’evoluzione linguistica del più antico Vadari, di origine longobarda, riportato in documenti antichissimi relativi allo stesso Barbato, da collegarsi a walda, con cui il popolo nordico denominava i boschi. Castelvenere, infatti, di natura prettamente pianeggiante, conserva nella toponomastica il ricordo di selve e zone boschive. Basti pensare a Santa Maria della Foresta, Selva Piana, Bosco Caldaie. Uno studio più recente fa derivare il nome dal latino venari, cacciare.
Nelle Rationes Decimarum Campaniae del 1308 viene menzionato un Casale Vieneri divenuto in seguito feudo dei Sanframondo, fino al 1460. Alla fine del XV secolo la Terram Veneris passò alla famiglia Monsorio. “Castiel Venere – si legge nel prezioso documento conservato presso l’Associazione Storica del Medio Volturno in Piedimonte Matese – sta edificato in luogo pieno fortissimo di mura con fossi attorno, di maniera che della parte di tramontana sta eminente, per esserci un vallone sotto, per dove corrono le acque piovane del paese s’entra per una porta con ponte a levatoio dalla parte occidentale, Dove si trova una bella strada diritta di conveniente larghezza spartuta con vichi da una parte e l’altra et è asciutta et ancor di inverno, et per essere terricciuola piccola e ben popolata di maniera che fuor detto castello al’ incontro detta porta sono altre bone habitationi, con la parrocchiale chiesa di San Nicola, dove risiede l’Arciprete con un diacono, un clerico e due altri clerici coniugati. Il barone non abitava in Castelvenere ma nella vicina San Salvatore dove in sommità di una collina aveva un castellotto”. Ecco, capiamo benissimo che in origine il borgo veniva denominato Terra o Casale Vieneri e solo dopo la costruzione del castello dei Monsorio troviamo Castrum Veneris o Castel Venere. Gli imponenti resti della torre, quanto rimaneva del maniero dei Monsorio, sono crollati nel 1978. Dato che a lungo si è ipotizzato che esistesse un culto nei confronti della dea Venere, nell’età della Controriforma si assistette alla costruzione di una piccola chiesa campestre in onore di Santa Venere, secondo la consuetudine di tramutare i culti pagani in corrispondenti devozioni cristiane. Dal 1645 fino al 1806, quando i francesi abolirono la feudalità nel Regno delle Due Sicilie, Castelvenere fu un possedimento dei Carafa, duchi di Maddaloni.
Siamo a due passi da Guardia Sanframondi, Telese Terme e Solopaca, in piena valle del Vino sannita, in quello che è certamente il paese tra i più piccoli della Valle Telesina, che ha registrato un notevole sviluppo tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, assumendo una fisionomia tutta nuova. Una terra antica pervasa di misticismo e di intensa religiosità popolare. A Castelvenere è legato uno dei rinvenimenti dell’archeologia preistorica più interessanti del Mezzogiorno, la palafitta detta di Castelvenere, a seguito di un presunto evento miracoloso risalente al 1898, quando la Madonna apparve a una veggente che fu sollecitata a scavare il terreno di proprietà della famiglia Piccirillo dove, secondo la medium, sarebbe stata sotterrata un’immagine sacra di grande valore taumaturgico. La notizia destò subito molto clamore e, grazie alla grande affluenza dei fedeli, si dette inizio a uno scavo stratigrafico. Una zona che subito si rivelò ricca di reperti archeologici: una moneta con l’effige dell’imperatore Gordiano, ossa, resti di anfore e utensili vari, lucerne, vasi etruschi, ampolle, una lancia, frecce e coltelli silicei. Continuando a scavare, emersero i resti di un insediamento palafitticolo preistorico costituiti da 99 pali conficcati verticalmente nel terreno, ma, nonostante la grande importanza della scoperta, per ordine ministeriale lo scavo fu chiuso soprattutto per evitare lo scatenarsi di nuovi disordini. Intanto, fu rinvenuta anche una medaglietta recante l’immagine della Madonna e, un giorno del 1908, in seguito a una apparizione della Vergine, si riprese lo scavo, dove venne alla luce un forno preistorico per la cottura di vasi fittili, alcuni dei quali ancora conservati all’interno. Una visita nel piccolo paese del Sannio beneventano impone di recarsi presso le chiese di Santa Maria della Seggiola, di San Nicola e della Madonna della Foresta. Il suo cuore medievale è molto caratteristico, con il Palazzo Barone, la Torre di Venere, crollata ma poi riconsegnata alla sua comunità nel 2016, restituendo al territorio lo splendore della sua antica fortezza, datata XV secolo. Era una delle torri che dovevano difendere, insieme al castello, l’antico borgo medievale. E ancora, la via del Fossato e piazza Mercato che accoglie al centro l’antico pozzo.
Castelvenere è stato insignito, nel 2019, come Citta Europea del Vino da Recevin. ente capofila insieme a Guardia Sanframondi, Solopaca, Sant’Agata de’ Goti, Torrecuso di una ben più cospicua rete di città vitate. In ognuno di questi paesi capofila sono stati realizzati dei murales a tema enoico, street art come memoria visiva dello straordinario successo dell’evento. Il murale che va a consolidare l’importanza che la viticultura riveste nel piccolo centro sannita, raffigura una moderna Ebe. Figlia di Zeus e di Era, gli antichi Greci considerarono Ebe come la personificazione della fiorente giovinezza. L’opera d’arte, a firma di Leticia Mandragora, troneggia nella piazza principale del piccolo borgo del Vino. La giovane coppiera degli dei è ovviamente raffigurata con una coppa di nettare in mano, accanto all’aquila, personificazione del padre Zeus. Se andate a Castelvenere, chiedete di assaggiare i vini autoctoni: la profumata Camaiola, dall’intenso colore violaceo, o un buon calice di Agostinella. Assaggiate la buonissima scarpella, piatto tipico del carnevale, una sorta di timballo di pasta che in realtà è buono tutto l’anno. E passeggiate a piedi nudi tra vigneti, uliveti e terreni profumati di fresco e di genuinità: un’occasione che vi farà emozionare!
Giornalista