Immagini dal Sannio: eccellenze gastronomiche della provincia beneventana

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In copertina, la soppressata.
Foto della macelleria “Sapori nostrani”

Non si possono elencare così, in poche righe, le prelibatezze che il Sannio può regalare. Questa terra così generosa, prettamente agricola, dalla radicata tradizione contadina e dalle origini pastorali che rievocano profumi e sapori di un tempo che fu. So che mi sarà difficile nominare tutte le prelibatezze sannite e probabilmente dimenticherò qualcosa. In ogni caso, cercherò di essere attenta a non tralasciare le eccellenze, vero e proprio vanto della ricca provincia sannita.

Avete mai sentito parlare della salsiccia rossa di Castelpoto? Un prodotto tipico del medievale borgo caudino, retaggio gastronomico della Langobardia Minor, anche se l’allevamento dei suini è un’attività tipica dell’epoca dei Romani. Del resto il clima sannita è ottimo per l’allevamento del genere. La salsiccia di Castelpoto è davvero una prelibatezza. È composta da tagli scelti di suini, ed è rossa per la polvere dei papauli, peperoncini autoctoni che possono essere dolci o piccanti, la cui essiccazione dà il caratteristico colore al salume. Una salsiccia che richiama la lenta lavorazione dell’antichità, quando i tempi non erano mai abbastanza maturi e la corsa contro lo scorrere delle ore non affrettava la lavorazione manuale di tante specialità contadine. Un prodotto da gustare fresco, alla brace o come condimento di piatti tipici della zona. La soppressata del Sannio è fatta con pezzi scelti, sale, pepe in granuli e insaccata in budelli naturali e con l’aggiunta di cubetti di lardo che la rendono più morbida e saporita, donandole un gusto notevolissimo, in cui si incontrano qualità e metodo. Per arrivare a stagionatura, essa viene appesa a pertiche di legno o di canne e viene fatto essiccare per circa un mese, al termine del quale viene conservata intera in recipienti di vetro o ceramica, totalmente ricoperta da sugna fusa oppure da olio extravergine di oliva.

Pietrelcina è terra di carciofi, e quelli ripieni sono un must del sud Italia. Il carciofo di Pietrelcina, rispetto a tanti altri che provengono da pianure maggiormente irrigate, si è adattato alla scarsità d’acqua della zona ed è reperibile sul mercato quando altri sono già legnosi. Si tratta di un presidio Slow Food che ha trovato vita fra le distese di grano e tabacco. La varietà di carciofo di questa zona fu introdotta intorno al 1840 da un prefetto originario di Bari. I terreni freschi, profondi e ben areati hanno creato le condizioni ottimali per la coltura di questa varietà molto tenera e dal sapore delicato, che oggi rappresenta un prodotto simbolo del borgo sannita, che riesce a conservare la sua fama non solo per motivazioni religiose. Il caciocavallo, prodotto particolarmente tipico del Sannio Pentro, trova una particolare zona di produzione a Castelfranco in Miscano, dove la caratteristica forma sferica e la testa piccola lo rendono tipico e riconoscibilissimo anche altrove. Ottenuto da latte di mucche alimentate con foraggi di produzione locale, ha un sapore dolce e delicato nei formaggi giovani, leggermente piccante in quelli stagionati. L’odore è gradevole e lievemente pungente. È un prodotto PAT, Prodotto Agroalimentare Tradizionale, riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. La fine che merita è certamente quella impiccata!

Il prosciutto di Pietraroja è un prodotto pregiato annoverato tra i migliori prosciutti del mondo dal giurassico piccolo borgo del Matese. L’altitudine del suo territorio, la purezza della sua aria, fresca, frizzante e incontaminata, il suo microclima asciutto che ne aiuta la stagionatura, fa di Pietraroja il paese che nel mondo produce il miglior prosciutto, quello considerato eccellenza di alta qualità, e il più costoso. La stagionatura che dura dai 48 ai 60 mesi, la sua essicazione naturale che avviene, di solito, in vecchie cantine, danno vita a un insaccato buonissimo. Un prosciutto certamente diverso, che si avvale della genuinità e degli aromi che provengono dalla qualità della carne, dagli alimenti dati ai maiali, che pascolano in un ambiente salubre e allo stato brado, e dal luogo di stagionatura. Un prodotto per palati fini e sopraffini, bello da vedere e un piccolo lusso da assaporare, che necessita di continue cure per poter arrivare alla qualità e alla maturità perfetta. Una produzione di antichissime radici della quale si ha traccia nel 1776 in un manoscritto dove era richiesta “Fornitura di prigiotta (prosciutti) al duca di Laurenzana da Pietraroia”.

Il pane di Saragolla, con grano antico e una lavorazione che risale alla notte dei tempi, ha un tipico colore giallo dovuto alla semola. Ha la crosta croccante e la mollica morbida, è saporito e fragrante, con un profumo davvero delicato e delizioso che richiama alla caratteristica ruralità del territorio. La saragolla è un’antica varietà di grano duro, ancora oggi coltivata nelle aree interne del Sannio, in provincia di Benevento. Un cereale che fu introdotto in Italia dal Medio Oriente nel 400 d.C. da alcune popolazioni provenienti dalla attuale Bulgaria. Il suo nome deriva dall’unione di sarga, “seme”, e golyo, “giallo”. Sono tanti i documenti storici in cui la saragolla è citata, molti di questi del periodo medievale. Il Sannio beneventano, assieme all’Abruzzo e alla Lucania, è una delle poche zone in cui si continua a coltivare questo grano speciale, che è riuscito comunque a sopravvivere alla competizione con i grani duri introdotti dal Nord Africa e dal Medio Oriente, ma è pur vero che lo spopolamento della zona e la riduzione delle superfici coltivate hanno messo in crisi la produzione, sia del grano, sia del pane. Il tartufo bianco di Ceppaloni è un prodotto riconosciuto dall’Associazione Nazionale Città del Tartufo, e l’evento a esso dedicato, Tartufo al Borgo, è volto alla sua valorizzazione. Viene raccolto anche nei comuni di Apollosa, San Giorgio del Sannio e Arpaise. Per quanto faccia parte della famiglia dei Tuber, nulla ha a che vedere con le patate e tuberi simili, ma è piuttosto da affiancare alla famiglia dei funghi porcini e prataioli. È uno dei funghi più pregiati, e viene spesso proposto con tagliatelle, trofie e su tagliata di carne, grattugiato come si fa con il parmigiano.

La cipolla di Airola è un prodotto che in passato ha rischiato l’estinzione, in quanto la piccola produzione spesso è stata risucchiata dalla modernità e dall’intensificarsi delle coltivazioni di tabacco. Ora è presidio Slow food ed è un vero e proprio simbolo della città caudina, tanto che uno dei murales che si trovano nelle vie della città raffigura la preparazione della cena, con una donna che affetta, appunto, il prezioso bulbo di cui Airola si fa vanto. Grazie alla vicinanza dei corsi d’acqua Tesa e Faenza, che rilasciano nutrimento organico senza però renderli acquitrinosi, si sono create le condizioni favorevoli per la coltivazione di una cipolla pregiata per la sua sapidità e dolcezza, mai pungente. Le zone di produzione storiche si trovavano, in particolare, nelle contrade Padula, Feniello, Scarpone, Cortecalce, Pantanosi. Il bulbo è di forma oblunga, con tunica esterna di un vivace tono ramato e parte interna rosa, con sfumature longitudinali di colore viola. Il pecorino di Lauticauda deve il nome alle pecora Lauticada (dal latino “ampia coda”), poiché viene utilizzato esclusivamente il suo latte dal sapore intenso. È un prodotto che viene consumato fresco o stagionato, nell’ultimo caso più piccante, e un contributo fondamentale viene dato dalle erbe di cui si nutre la pecora di Lauticada, che donano aromaticità al prodotto finito. L’origine di questa razza è sicuramente africana, importata in Campania probabilmente dai Borboni. Il pomodorino verneteca sannita, di color dorato ma dalla polpa rosata, è conservato in grappoli detti penneci, caratteristica che gli permette di conservare le sue qualità organolettiche e di essere consumato crudo anche in inverno. E il nome verneteca deriva proprio da questo, da viern, “inverno”. Appartiene alla famiglia del ciliegino ed è ottimo anche cotto e sulla pizza. L’area di produzione nel Sannio è la Valle Telesina precisamente i borghi di Cerreto Sannita, Cusano Mutri, Pietraroja, Pontelandolfo, Casalduni, San Lorenzello, Solopaca, Ponte, San Lorenzo Maggiore, San Lupo. È anche ingrediente di ricette locali, come zuppe, primi e secondi, e si sta riscoprendo anche come condimento per la pizza. Non si hanno notizie storiche su questa tipologia di pomodoro, perché era destinato esclusivamente al consumo familiare e la sua coltivazione si è tramandata di generazione in generazione, ma lo spopolamento delle aree interne, la concorrenza di altre varietà e le nuove tecniche di conservazione ne hanno ridotto notevolmente la produzione e il consumo, lasciando il posto a prodotti di serra o importati.

La pizza con i pomodorini verneteca, foto de “I sapori di Rachelina”

Non dimentichiamo certamente di accompagnare il tutto con un ottimo vino locale. Quasi dodicimila ettari di terreni vitati, circa 8 mila imprenditori vitivinicoli, un centinaio di aziende imbottigliatrici ed etichettatrici, per la produzione di oltre un milione di ettolitri di vino prodotto, tre denominazioni di origine e una indicazione geografica e più di sessanta tipologie di vini. Migliaia di aziende impegnate nella produzione di uva, 160 cantine con più di 2 mila lavoratori. Aglianico, Solopaca, Barbera del Sannio, Sommarello, Piedirosso, Agostinella, Falanghina, Coda di volpe, Malvasia, Palombina, Moscato di Baselice, sono solo alcuni esempi del patrimonio viticolo sannita. E anche grazie alla Falanghina, il Sannio si è fatto conoscere nel mondo, e il suo rappresenta il vitigno base di molti vini di pregio della Campania, come i vini DOC Guardiolo, Solopaca, Taburno, ma utilizzato anche per la produzione di vini spumanti nelle stesse denominazioni di origine. Questa è coltivata soprattutto in zone collinari, caratterizzate da un clima caldo e molto secco e si caratterizza per la grandezza dei suoi grappoli, oblunghi oppure tondeggianti.

Iuvat olea magnum vestire Taburnum” cioè “conviene rivestire di oliveti il grande Taburno”, sosteneva Virgilio nelle Georgiche, tanto che l’olivo, già presente nel Sannio dal VI sec a.C., si diffuse rapidamente, come documentano i numerosi reperti conservati nei vari musei provinciali. Ancora oggi l’olio d’oliva è alla base dei migliori prodotti naturali cosmetici, di saponi artigianali, creme e unguenti. Oggi il territorio delle Colline Beneventane, che comprende 52 comuni ubicati dalle colline alte del Tammaro e del Fortore, attraverso la Piana del Calore, del Taburno e del Partenio, è zona di produzione di un olio pregiatissimo: l’extravergine di oliva Sannio colline Beneventane e, come già detto, anche le colline caudine-telesine e l’area titernina, dove vaste distese di ulivi donano pace armonica all’occhio, al sapore e al palato. È anche la combinazione di un clima mite e temperato, dell’esposizione delle pendici collinari che portano a una qualità dell’olio veramente eccezionale.

E non dimentichiamo i funghi dei boschi di Cusano Mutri, Faicchio, Cerreto Sannita, ma anche le lenticchie sannite, i fagioli risilli, il pomodoro guardiolo, mele annurche, patate interrate, castagne, nocciole e noci. E ancora salsicce, ammugliatielli e capicollo, miele del beneventano, olio extravergine d’oliva e nocino. E in ultimo, ma certamente non per importanza, tre marchi di eccellenza che nel mondo sono una bandiera del nostro Sannio. Il pastificio Rummo, la cui pasta è uno dei simboli del capoluogo sannita campano e, dopo più di 160 anni, è ormai parte integrante della cultura sannita, che testimonia una storia leggendaria, orgoglio di ogni beneventano e di ogni sannita, Storia iniziata da Antonio Rummo, che per primo capì il vantaggio economico della trasformazione del grano pugliese sulla strada di Napoli che passava per Benevento. La Lenta Lavorazione®, che garantisce una pasta dall’eccezionale tenuta alla cottura, è il vero marchio di fabbrica della Rummo, grazie all’aumento dei tempi d’impasto e alla ricerca dell’alta ed eccellente qualità in ogni fase della lavorazione, mantenendo inalterate le proprietà organolettiche della semola di qualità superiore. Il marchio Alberti e la sua Strega parlano del Sannio in tutto il mondo. Il classico liquore giallo è ottenuto dalla distillazione di circa 70 erbe e spezie provenienti da ogni angolo della Terra: cannella di CeylonIride Fiorentino, ginepro dell’Appennino italiano e la menta del Sannio, che cresce spontaneamente lungo i fiumi della regione, sono solo alcuni. E quel simpatico colore giallo? Deriva dall’aggiunta dello zafferano. Stagionato per un lungo periodo in tini di rovere, si ottiene un distillato dalla gradazione di 40% vol. Tuttavia, la ricetta è segreta; gli operai che preparano la miscela conoscono solo i quantitativi degli ingredienti numerati, ma non ne conoscono la natura. Inoltre, ci sono alcuni ingredienti che vengono conservati sotto chiave. Attualmente, l’azienda Strega Alberti, grazie alla produzione del noto liquore ma anche di prodotti semilavorati per pasticcerie e vari dolci, tra i quali spiccano i torroni, rappresenta uno dei migliori esempi di “modello industriale” tradizionale presente nell’Italia meridionale. La proprietà e la gestione dell’Azienda sono tuttora nelle mani della famiglia Alberti che ha saputo, nel tempo, conciliare l’abilità artigiana al progresso tecnologico, E se vogliamo parlare di industria dolciaria non possiamo dimenticare i torroncini del Fortore e in particolare il Croccantino di San Marco dei Cavoti. Il suo antesignano fu un delizioso torrone Bacio, che nulla ha a che vedere con il famoso cioccolatino della Perugina, anzi lo ha addirittura preceduto. Era una barretta croccante in cui furono amalgamate mandorle, nocciole tostate e zucchero, con rivestimento di naspro. Nel 1926 si diede vita al Preferito, altra variante del croccantino. Solo negli anni Sessanta i croccantini furono ricoperti di cioccolato, come oggi noi li conosciamo. Questo torroncino deve il suo successo oltre che alla qualità, anche alla pezzatura, infatti ognuno, che pesa circa quindici grammi, viene incartato singolarmente. Oggi sono diversi i lavoratori che producono croccantini e ognuno di essi custodisce gelosamente le proprie ricette che la maggior parte delle volte vengono tramandate da generazioni e si tratta di vere e proprie segreti di famiglia.









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