Dalla potega alle Poteghelle, la zona commerciale della vecchia Telese

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Dipinto antecedente il 1920 tratto dalla pagina Facebook Sei di Telese se…

Il nucleo originario della Telesia medievale viene riconosciuto essere quello che si sviluppava intorno alla Cattedrale della Santa Croce, l’antica chiesa episcopale edificata nell’alto medioevo e abbandonata dopo il sisma del 1349, di cui rimane la così detta Torre longobarda.
La zona che va dalla torre alla chiesa “nuova” viene indicata come le “Poteghelle” ovvero le bottegucce a ricordare nella memoria collettiva l’esistenza passata e abbastanza recente di piccole botteghe artigiane di cui negli anni ’70 l’ultimo rappresentante restava U rammaro-ramaro: il ramaio, maestro artigiano del rame.
La rama, ovvero il rame, era il metallo con cui si realizzavano gli utensili domestici di cui il tipico pentolone annerito dal fumo, che ha accompagnato la vita dell’uomo dai tempi più remoti, era la massima espressione.

Dopo l’ultima guerra, le baracche dei contadini iniziarono a essere coperte da lamiere ondulate chiamate ramere che nulla avevano a che vedere con il rame ma prendevano il nome da ‘lamiera’,
dal latino lamina. Bottega deriva dal greco apotheca (deposito) da cui il volgare italiano potega (ripostiglio, magazzino). In origine era il luogo destinato a riporvi oggetti di ogni sorta, situato a pianterreno sulla pubblica via, dove venivano esposte e vendute le merci o dove gli artigiani esercitavano la loro attività. Più tardi passò a indicare, genericamente, negozio o attività commerciale.

L’esistenza di una certa attività commerciale lungo la via delle botteghe telesine è attestata anche dal fatto che nello slargo a lato della canonica si svolsero, da tempo remoto e più o meno verso la fine degli anni ’60, diverse fiere. La prima, il 25 marzo, era detta dell’Annunziata, ma quella più attesa da noi piccoli era la fiera della Santissima Croce il 3 maggio quando potevamo (farci) comprare le pastinache, in realtà le carote. In molte lingue locali d’ Italia per pastinaca si intende la carota che è altro dal tubero di pastinaca, pur ricordandolo nella forma ma non nel colore.

Un’altra meraviglia per noi bambini era la fiera zoologica dove venivano esposti ogni genere di animale da allevamento: mucche, tori, cavalli, asini, galli e galline, pulcini e chiocce, conigli. Si andava di stazzo in stazzo incantati come in uno zoo mentre tutt’intorno si concludevano compravendite con strette di mano condite da sputi per meglio suggellare gli accordi.
Il ciclo delle fiere si chiudeva il 14 settembre, non a caso, ad inizio della raccolta delle uve ed era un avvenimento importante anche per le trattative tra produttori locali e compratori venuti da ogni dove che stabilivano costi e prezzi in una sorta di asta rustica dove risuonavano numeri crescenti accompagnati da alzate di dita come in un gioco di morra casalinga.

Curiosità. Se per distrazione, non si chiudono la cerniera o i bottoni della patta dei pantaloni, si dice: “Avere la bottega aperta”. Non ha niente a che fare con l’attività commerciale, ha tutt’altro significato, è un modo di dire in cui il termine ‘bottega’ è usato in senso metaforico, a indicare la mercanzia (più o meno di valore) che è contenuta all’interno, che trova un’altra espressione simile nella frase: “Gabbia aperta, uccello morto”. La striscia di tessuto che copre la cerniera o i bottoni è detta patta e deriva dal longobardo paita, cioè ‘veste’.









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