Il Real albergo dei poveri, il palazzo monumentale più grande della Reggia di Caserta

Condividi articolo

Nel corso del ‘700, i poveri, i vagabondi o i “lazzaroni” erano diventati, per Napoli come per altre città, una vera e propria piaga. Una stima molto approssimativa sulla situazione della capitale si ritrova negli appunti di viaggio dei visitatori settecenteschi. A metà del secolo, il numero degli oziosi si aggirava intorno alle 30-40mila unità che, rispetto ad una popolazione di circa 300mila abitanti, rappresentava un 12%; all’avvento di Giuseppe Bonaparte gli “sfaccendati” assommavano, probabilmente, a 60mila.


Nel 1749 Ferdinando Fuga fu chiamato a Napoli, nell’ambito del programma di rinnovamento edilizio del nuovo re Carlo III di Borbone, con l’incarico di progettare il gigantesco Albergo dei Poveri rivolto ad accogliere le masse di diseredati del Regno. Uno degli scopi di questa istituzione caritatevole fu di garantire i bisogni di sicurezza urbana, e di assicurare agli orfani i mezzi di sussistenza e l’insegnamento di un mestiere che li avrebbero potuti rendere autonomi nella vita quotidiana.
Il Real Albergo de’ Poveri si estende su una superficie di 103.000 m² ed ha una facciata lunga 400 metri, circa un centinaio di metri in più rispetto al prospetto della Reggia di Caserta, una struttura capace di accogliere e rieducare circa ottomila tra poveri mendicanti, vagabondi e oziosi di tutto il regno che, seppure abili al lavoro, non avevano dimora e occupazione stabile.


L’Albergo dei Poveri, tuttavia, divenne un vero e proprio carcere, essendo etichettato come “serraglio”, cioè un luogo dal quale non sarebbe stato più possibile uscire, affollato da pregiudicati dalla scarsa domanda all’esterno; una situazione che, alla fine del XVIII secolo, richiamò l’attenzione dei governatori che, nel 1790, dopo aver riscontrato che nei cinque anni precedenti nessun recluso era uscito impiegato, proposero alcune modifiche ai regolamenti vigenti: alcune restrizioni per quanto riguardava la permanenza nell’Istituto, al fine di incentivare il reinserimento dei giovani nella società.

Mentre si continuava a raccomandare di non licenziare il recluso se non era perfettamente “istruito nell’arte”, se ne prevedeva, “se il discepolo è resistente all’apprendere l’arte”, il trasporto nella casa di correzione di San Francesco fuori porta Capuana.

Dietro gli intenti nobili perseguiti da sovrani “all’apparenza” caritatevoli, spesso si nascondeva, la volontà, neanche tanto mascherata, di liberare le strade, le piazze e soprattutto i sagrati delle chiese da una pletora fastidiosa e stracciona di mendicanti che chiedevano l’elemosina: malvestiti, malnutriti e soprattutto malati o mutilati (molti poveri erano ex soldati feriti e mutilati che dopo la guerra venivano abbandonati a se stessi senza nessuna forma di aiuto o sussistenza). Zoppi, ciechi, sordi: le “anime pezzentelle” che si trascinavano, si strusciavano a terra, che scorrevano per le strade su “trabiccoli di assi di legno” su ruote.

In Francia, Luigi XIV, desiderando assicurare aiuto e assistenza ai soldati anziani o invalidi delle sue armate, fece costruire nella piana di Grenelle, allora periferia di Parigi, l’Hotel des Invalides, un complesso articolato in cinque corti, centrati sulla più grande la cour royale (corte reale).
I lavori si svolsero tra il marzo 1671 e il febbraio 1677, ma i primi ospiti s’installarono già nell’ottobre 1674. L’hotel des Invalides comprendeva una manifattura (confezionamento di uniformi e stamperia) e un ospizio.


L’Hotel ebbe grande rilevanza in epoca napoleonica. Il 15 luglio 1804 si svolse nella chiesa la prima consegna delle onorificenze della Legion d’onore da parte di Napoleone agli ufficiali meritevoli, nel corso di una fastosa cerimonia ufficiale. L’Hotel des Invalides accoglie ancora oggi un centinaio di reduci e invalidi dell’esercito francese.









Print Friendly, PDF & Email