Perché Cristo si è fermato a Eboli?

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Particolare del dipinto “Lucania” di Carlo Levi

Sembra che Carlo Levi avesse scelto per la sua famosa opera, il titolo “Cristo si è fermato ad Eboli” per indicare come la Chiesa a sud di Eboli, che doveva e poteva essere l’unica promotrice dell’emancipazione e del riscatto delle plebi meridionali, avesse, al contrario, tradito i poveri contadini del Sud.

A sud di Eboli le gerarchie ecclesiastiche si erano sempre affiancate al potere dominante in un gioco millenario di sfruttamento e sottomissione. I parroci di paese, poi, mischiavano la superstizione al vangelo, la magia alla fede, usavano la religione per il proprio tornaconto e per tenere i contadini in una continua situazione di dipendenza agitando i piaceri del Paradiso e le pene dell’Inferno.

Il famoso studioso di tradizioni popolari Ernesto De Martino ricorda che il vescovo di Salerno, dopo la seconda guerra mondiale, fu duramente ripreso dalla curia romana per non aver mai fatto un viaggio pastorale nelle terre della sua diocesi.

Nel gennaio del 1735 Carlo III di Borbone decise di conoscere il proprio regno in un viaggio che lo portò da Napoli a Palermo, via terra. Arrivò in Basilicata e visitò Venosa e Matera e scoprì un mondo a parte molto lontano dai fasti napoletani: la malaria dilagava, la miseria non risparmiava nessuno, nemmeno i “galantuomini”. Il re fu talmente sorpreso da incaricare il Segretario di Stato, Bernardo Tanucci, a istituire una Commissione d’inchiesta.

Il problema più grande era la viabilità che aveva, di conseguenza, prodotto il totale isolamento della Lucania e della Calabria dal resto del regno. Del resto tutti i viaggiatori del Gran Tour che si recavano in Sicilia, per le difficoltà del viaggio, evitavano queste terre e preferivano imbarcarsi a Napoli per sbarcare a Palermo. Le strade erano ancora quelle romane, già nel Medioevo molte erano state abbandonate, i viadotti crollati, i ponti in legno si erano frantumati, la manutenzione era inesistente. Il trasporto era assicurato da animali da soma ed i percorsi erano in altura per evitare le pianure spesso paludose e malariche; strade tortuose, impervie lontane dai letti dei fiumi con le loro disastrose piene invernali.

Mulattiere o piste in terra battuta, la lastricatura era praticata, a pezzi, solo nei pressi dei centri urbani o nelle vicinanze dei luoghi religiosi. Si trattava di materiale preso alle vecchie strade romane, posto in terra senza nessun substrato di sabbia che ne assicurasse la tenuta.

Per secoli le strade, nate sulle orme dei pellegrini, erano corse più a nord e la via Appia con il suo percorso dal Lazio alla Puglia, passando per la Campania, sembrava tracciare una linea di confine immaginario che tagliava fuori la parte più meridionale della penisola.

Carlo III diede avvio a numerose opere viarie che, però, non furono portate a termine, dovendo il re tornare in Spagna alla morte del fratellastro Ferdinando VI nel 1759, dove fu chiamato a succedergli sul trono.

Negli anni 1935-1936, sotto il regime fascista, Carlo Levi condannato al confino per attività antifascista si trovò a percorrere quelle strade mentre da Eboli veniva condotto a Grassano e poi ad Aliano (che nel libro chiama Gagliano), “…in un viaggio al principio del tempo, Cristo si è fermato a Eboli racconta la scoperta di una diversa civiltà. È quella dei contadini del Mezzogiorno: fuori della Storia e della Ragione progressiva, antichissima sapienza e paziente dolore”.

Curiosità – Racconta Ernesto De Martino: “Un vecchio parroco di Marsico Vetere, Don Rafele, per guadagnare autorità fra i contadini, aveva lasciato credere di essere capace di fare la tempesta. Don Rafele aveva l’abitudine di fare, tutte le mattine, appena sveglio la ginnastica, qualche flessione e qualche lancio in aria delle braccia. Un giorno che si era scatenata l’Apocalisse con una tempesta di grandine e vento, Don Rafele, mentre come sempre faceva ginnastica, fu visto dalla sua perpetua Rosina che credette fossero i suoi strani gesti ad invocare il cattivo tempo.

Corse in paese ed in breve informò le persone dell’accaduto, tutti i paesani, allora, armati di forche e falci corsero verso la canonica per mettere fine all’insano rituale e ci volle il bello e il buono a Don Rafele per far capire alle sue pecorelle che non era colpa sua e della sua strana ginnastica”.  









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