“Arbeit macht frei”: viaggio nella follia della mente umana.

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Qualsiasi viaggiatore che faccia visita al campo di concentramento di Aushwitz, ne esce sempre turbato, consapevole di essere anche lui un sopravvissuto alla più grande follia e barbarie mai immaginata dalla mente umana. E in effetti, non si dovrebbe chiamare “viaggio” ma empatia e immersione in un dolore non così lontano a noi. Auschwitz si trova a circa 70 km da Cracovia, e lì dove erano ubicati molti capannoni dismessi, ai confini con la Germania, fu aperto nel 1940 il campo del dolore, la vergogna che ha colpito il genere umano.

Era nella Polonia occupata dai nazisti il lager che dal 1940 al 1945 divenne una fabbrica della morte per realizzare la “soluzione finale” contro gli ebrei. Al suo interno trovarono la morte più di un milione di persone e oggi è luogo simbolo di memoria. Fu lì che il 27 gennaio 1945, l’Armata Rossa, guidata dal maresciallo Ivan Konev, abbatté i cancelli che celavano tanto crimine e dolore mettendo fine a una macabra atrocità.

“Arbeit macth frei”, il lavoro rende liberi: era questa la scritta, tutt’oggi visibile all’ingresso del campo di Auschwitz, diventata un simbolo della barbarie nazista. Era la scritta di “benvenuto” che accoglieva i prigionieri di Auschwitz-Birkenau. Sembra che fosse stata ideata dall’SS-Sturmbannführer Rudolf Höss, primo comandante responsabile del campo di concentramento e sembra anche che il fabbro che la costruì fosse un dissidente politico polacco di nome Jan Liwackz, detenuto con numero di matricola 1010. Pare che Liwackz l’avesse realizzata saldando la lettera “B” al contrario come segno di protesta, in quanto conscio di quale sarebbe stata la vera funzione del campo di Auschwitz; gesto che certamente gli sarebbe potuto costare la vita. Si racconta anche che lo stesso fabbro, sopravvissuto all’Olocausto, quando il campo fu liberato dall’Armata Rossa, chiese di riavere l’insegna in quanto apparteneva a lui e alla sua fatica, cosa che non avvenne dato che, ormai, la scritta apparteneva alla storia.

Il campo costruito dai tedeschi, oggi è conservato così com’era, ed è luogo di memoria, visitato ogni anno da migliaia di persone e scolaresche, che possono misurare con i propri occhi gli orrori del nazismo. Non un viaggio di piacere, come dicevo, ma un viaggio necessario a comprendere, a non dimenticare per non ripetere, un viaggio nella memoria e nell’empatia.

La Polonia fu invasa nel settembre 1939 e la città di Oświęcim, Auschwitz in tedesco, fu scelta dal Terzo Reich come la località più “adatta” per ragioni logistiche. La zona aveva infatti una rete ferroviaria ben sviluppata e collegata con altri Paesi. Si pensò di sfruttare la struttura di una vecchia caserma in un quartiere di Auschwitz per aprire il primo campo di concentramento e risolvere così quello che egli presentava come “il problema dell’affollamento” delle prigioni in Slesia. Fu aperto nell’aprile del 1940, in un’area di circa 200 ettari, i primi detenuti furono alcuni prigionieri politici polacchi che arrivarono il 14 giugno. Nel 1941, il campo fu allargato con la costruzione di Birkenau e nel 1943 diventò definitivamente una “fabbrica della morte”. Al suo interno furono sterminate in totale 1,1 milione di persone, il 90% delle quali erano ebrei deportati dalla Polonia e da vari altri Paesi d’Europa. Chi doveva raggiungere il campo di concentramento, veniva ingannato dai nazisti che promettevano inesistenti e importanti posti di lavoro. I detenuti portavano con sé tutti i loro averi che poi venivano confiscati. Al loro arrivo, alla presenza degli ufficiali delle SS, gli uomini venivano separati dalle donne e dai bambini formando due distinte file. Il personale medico delle SS decideva chi era abile al lavoro, e in questo caso venivano sfruttati nel lavoro fino alla morte. Mediamente solo il 25% dei deportati aveva possibilità di sopravvivere. Il restante 75% (donne, bambini, anziani, madri con figli) era inviato direttamente alle camere a gas.

Dall’Italia il primo trasporto di ebrei per Auschwitz avvenne il 23 ottobre del 1943 e complessivamente nel lager persero la vita circa 8 mila italiani. Non solo ebrei, ma anche deportati prigionieri di guerra sovietici, criminali comuni tedeschi, prigionieri politici ed “elementi asociali” come mendicanti, prostitute, omosessuali e testimoni di Geova. Oltre ai capannoni, il campo era diviso in blocchi: il blocco numero 11 era il blocco della morte, dove in piccolissime celle i prigionieri venivano torturati o lasciati morire di fame.
Sul territorio del lager, nel 1947, fu fondato un Museo memoriale e nel 1979 Auschwitz-Birkenau è stato iscritto come luogo di memoria nell’elenco dei siti tutelati come patrimonio mondiale dell’Unesco. Nel novembre 2005, l’Assemblea generale dell’Onu ha scelto la ricorrenza della liberazione del campo dell’orrore per istituire una Giornata mondiale di commemorazione di tutte le vittime dell’Olocausto.









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