I carrati, da Pietraroja l’antica tradizione della pasta fatta a mano

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Foto di copertina tratta da SharryLand

Eccellenze gastronomiche sannite ne abbiamo? Tante, lo so, e a noi di Fremondoweb piace proporvene sempre di nuove. Novità non sono, perché si tratta di tradizioni, ma certamente conoscere la storia dei cult della nostra gastronomia, e conoscerne stiria e curiosità, certo è importante, così come è importante avere a portata di mano ingredienti e quantitativi per preparare una ricetta.

Oggi ci dedichiamo alla pasta fatta a mano, partendo da una tradizione della Valle Telesina, più precisamente di Pietraroja, borgo montano di circa 700 abitanti che oltre al prosciutto tramanda l’antica arte di questa specialità: i carrati, un tipo di pasta fatta grazie a un ferretto apposito attorno al quale si arrotolano dei rettangoli di sfoglia.

Già in tempi antichi, a Pietraroja questo manufatto gastronomico era considerato una sorta di rituale connesso alla stagione della semina del grano. Viene chiamata “pasta del buon auspicio” dato che le donne del borgo matesino preparavano la pasta quanto più lunga possibile, con l’intento di emulare una spiga di grano: più era lungo ogni carrato, più cresceva l’auspicio di una generosa raccolta nei campi. Si soleva pensare, infatti, che la lunghezza di ogni carrato fosse da paragonare a quella di ogni spiga da cogliere. Una tradizione che al giorno d’oggi si tramanda perlopiù in ambito familiare. È difficile, se non impossibile, trovare negozi che vendono questa specialità di pasta, data la complessità della loro lunga preparazione e la difficoltà a produrne in quantità cospicue. Forse solo i pastifici locali, gli agriturismi di zona, le osterie del territorio continuano a proporre i carrati ai loro avventori.

Questo caratteristico formato di pasta artigianale è oggi inserito nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT). Anche la Fondazione Slow Food, che tutela sempre le produzioni della tradizione, per salvaguardarne la sopravvivenz li ha inseriti nell’Arca del Gusto.

Farina di grano duro, macinazione grossolana, acqua di fonte (e quella di Pietraroja è ottima), sale e un uovo per ogni chilo di farina: questa era originariamente la ricetta. Oggi, grazie al più diffuso benessere, le uova per chilo di farina sono aumentate a quattro. Manualità e molta esperienza, pazienza e abilità sono le caratteristiche principali per la preparazione dei carrati. Alla fine il prodotto non è sempre uguale. I maccheroncini che si ottengono dalla lavorazione hanno sempre una lunghezza variabile, in base alla perizia e all’esperienza di chi li ha preparati. Si stende la pasta dello spessore di circa 2 – 3 centimetri e se ne ricavano dei rettangoli di circa 3 centimetri di larghezza, ma di lunghezza variabile. Questi poi vengono arrotolati attorno al tipico ferreto apposito, simile ai ferri per lavorare la lana. Il ferretto era molto importante, un accessorio fondamentale nel patrimonio familiare, tanto da venire inserito nel corredo delle spose.

In realtà, l’etimologia della parola è legata al tipo di attrezzo utilizzato per tagliare la pasta, il carraturo, una serie di fili di acciaio tenuti tesi da un telaio di legno e al di sotto un recipiente per raccogliere la pasta. Le sfoglie, premute con l’aiuto di un mattarello, venivano così tagliate in strisce sottili. A Pietraroja, però, la presenza di un carraturo non era sempre garantita, ecco perché ci si adoperava a preparare la pasta “carriandola”, ossia arrotolandola, con l’aiuto di un bastoncino di ferro. Subito dopo era pronta per essere bollita.

La tradizione vuole che un tempo i carrati venissero serviti ai mietori: in fondo la materia prima la producevano loro. Una ricetta tipica era quella che li voleva serviti con olio e aceto, ma anche con ricotta fresca o stagionata e noci. Oggi si possono gustare in svariati modi, in bianco con olio, rucola, parmigiano e pomodorini freschi, oppure rossi, con un delizioso sugo di agnello (e Pietraroja, terra di pastorizia, è ottima produttrice di carne di allevamento) o ancora con ragù di gallina, o con pecorino locale e noci.

Non solo a Pietraroja: l’area geografica in cui si prepara ancora questa pasta tradizionale comprende anche altri comuni della Valle Telesina, come Cusano Mutri e Cerreto Sannita. La tipologia è tipica dei tratturi e dei luoghi della transumanza, e Pietraroja vanta un’antica tradizione in materia.









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