Immagini dal Sannio: il ponte Fabio Massimo di Faicchio e l’acquedotto romano

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L’antico acquedotto, foto di Paolino Ciarlo

Oggi siamo a Faicchio, caratteristico e suggestivo borgo del Sannio beneventano, nei pressi delle sorgenti dell’acquedotto romano, affacciato sul vallone Frunna, dove sorge il piccolo abitato di Fontanavecchia. Proprio qui, ai piedi della chiesa di San Sancio, vi è una grande fontana con abbeveratoi, segno tipico di una zona che si trova lungo una strada di passaggio, magari territorio di andata e ritorno di pastori, o di lavoratori che andavano e tornavano. Siamo sotto il ponte da cui si accede all’attuale contrada di Fontanavecchia, ove la fontana era già vecchia quando i primi abitanti vi si insediarono: ecco il perché del nome che fu dato all’agglomerato di case, e che si conserva tutt’ora.

Nei pressi della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli è visibile l’ingresso di un acquedotto ipogeo risalente all’incirca al III sec. a.C., che ancora oggi si può percorrere per una lunghezza di circa 1160 metri, scavato alle falde del Monte Monaco di Gioia e che viaggia al di sotto del centro storico di Faicchio. Esso fu intercettato, esplorato e rilevato, tra il 1993 e il 1994, dal Gruppo Speleologico del Matese. In merito all’epoca di realizzazione, almeno di età romana, considerando la presenza in sito di un importante centro sannitico, è stata avanzata l’ipotesi che si trattasse di una magnificente opera addirittura preromana, tesi sostenuta anche dalla tipologia costruttiva dell’acquedotto che non presenta caratteristiche tipicamente o esclusivamente romane. Dalla zona orientale della contrada, sulla strada che porta a San Lorenzello, l’acquedotto raggiungeva il centro di Faicchio ed era utilizzato sia per dissetare la popolazione, sia per l’irrigazione. L’acquedotto rappresenta l’unico esempio tra quelli dell’epoca ancora oggi funzionante e fino a pochi anni fa alimentava tre fontane pubbliche.

L’attuale centro di Faicchio nacque negli ultimi secoli del Medioevo e, per far sì che le sue fontane venissero fornite di acqua, fu necessario costruire un nuovo ramo del condotto, molto probabilmente con una tecnica meno sopraffine. Tanti, in seguito, furono i lavori di modifica ma l’acquedotto romano ha avuto bisogno anche di una manutenzione costante contro l’azione del tempo e della natura. Forse più di quest’ultima, dato che il tempo è stato clemente con un’opera di simili fattezze: lo si è messo al sicuro da fango, calcare e da eventi franosi. Secondo recenti studi, la condotta che alimentava la fontana era imboccata da un buco sul fondo dell’acquedotto principale che lasciava la fontana esclusa. Per questo motivo, nei periodi di siccità gli abitanti del posto ostruivano parte del condotto con qualche masso e cumulo di pietre, in modo da costringere l’acqua a salire sopra l’orlo. Strategia, però, che col tempo ha portato non pochi problemi perché rischiava di lasciare al secco il centro di Faicchio, e poteva creare liti e diverbi all’interno del suo abitato. In epoca moderna l’acquedotto ha avuto un prolungamento con lo scopo di alimentare le altre due fontane del centro storico.

Poco lontano, a circa 13 metri dal livello del corso del torrente Titerno, troviamo un antico ponte intitolato al condottiero e dittatore romano Quinto Fabio Massimo, noto come il Temporeggiatore, costruito per arrestare l’avanzata di Annibale durante la Seconda Guerra Punica e per portare avanti la sua tattica militare preferita. L’imponente struttura è il frutto di una serie molteplice di interventi edificatori e di adattamento operati dai Romani su una preesistente costruzione, forse sannita. Il ponte dei Sanniti doveva essere originariamente costituito da due travi portanti e consentiva il collegamento della fortezza del Monte Acero con la corrispondente fortificazione del Monte Erbano, facilitando le comunicazioni tra gli abitanti della Valle Telesina e quelli del Matese. La prima via di comunicazione era un tratturo che allacciava Alife, la Valle del Titerno e quella Telesina con Benevento e le Puglie, abbracciando tutto il massiccio del Matese, e che con un ponte passava sul fiume Titerno. Il ponte viene ricordato anche come Ponte dell’Occhio, discendente dal termine dialettale locale nocchio, derivante dal latino opulum che vuol dire acero campestre. Fu costruito più di 2000 anni fa, al termine del lungo conflitto che oppose i Sanniti ai Romani e la sua struttura, per quanto a prima vista sembri essere molto sottile e fragile, è in realtà molto robusta grazie alla solidità delle sue basi. In realtà, nel 2008 il ponte è stato ristrutturato e ha perso, in parte, le originarie fattezze.

Il ponte Fabio Massimo nel 1970, foto di copertina di Fiore Silvestro Barbato

La zona dei monti collegata dal ponte fu teatro di un episodio di guerra tra un contingente tedesco e una divisione della quinta armata statunitense, che rievocava in parte la tattica degli scontri avvenuti in epoca remota tra i Romani e i Sanniti. In quella circostanza, il ponte Fabio Massimo fu miracolosamente risparmiato sia dai Tedeschi che dagli Americani, stessa sorte che toccò, per fortuna, anche ai civili, rifugiatisi nel Convento di San Pasquale. Il ponte è costituito da tre arcate asimmetriche, differenti per altezza e per piano di imposta, differenziazioni dovute a una serie di rifacimenti tipici dell’evoluzione delle tecniche di costruzione romane. Il primo intervento romano sul ponte avvenne certamente in età Repubblicana ed è evidente nella costruzione dei basamenti secondo la tecnica poligonale, utilizzata prima della scoperta del calcestruzzo da parte dei Romani, materiale arrivato all’Urbe probabilmente dalla Magna Grecia. I basamenti poligonali del ponte furono realizzati con blocchi calcarei di oltre un metro per due e la perfezione della tecnica costruttiva ha permesso loro di resistere indenni ai numerosi eventi sismici che hanno spesso interessato la zona. In origine, sui basamenti alti 3 metri era posta una passerella di legno per l’attraversamento che non offriva un’adeguata resistenza alle piene del fiume, costituita da materiale facilmente deperibile. La passerella fu quindi sostituita da una volta a tutto sesto in laterizi. Il ponte utilizzato nel corso dei secoli, è stato poi riadattato e livellato per facilitare i percorsi periodici e frequenti delle greggi. Anche dopo il terremoto del 5 giugno 1688 e all’alluvione del 1860 il ponte ha subito diversi rimaneggiamenti. Proprio a seguito della suddetta alluvione fu aggiunto l’arco sull’estrema sinistra.









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